Ambiente

Shell investe nei carbon credits. Ma servono davvero?

La compagnia energetica scommette su progetti contro la deforestazione per compensare le emissioni, ma un’indagine giornalistica e diversi studi gettano pesanti ombre sulla effettiva sostenibilità di queste iniziative
Credit: Anna Shvets/ Pexels
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20 gennaio 2023 Aggiornato alle 22:00

Negli ultimi anni numerose multinazionali e aziende hanno fissato obiettivi per diventare eco-sostenibili e raggiungere il target di zero emissioni. Fra queste anche le maggiori compagnie energetiche, legate al settore Oil & Gas, che hanno iniziato a usare il mercato dei crediti di carbonio per compensare le loro emissioni inquinanti.

Una delle più grandi compagnie petrolifere, Shell, ha recentemente annunciato di aver stanziato più di 450 milioni di dollari destinati a progetti di compensazione, con l’intenzione di assicurarsi ogni anno la metà del mercato dei crediti in espansione. «L’aumento del valore e del volume, nonostante gli attuali venti contrari economici, è un segno della crescente importanza del mercato volontario dei crediti di carbonio. Stiamo vedendo uno sforzo concertato da parte delle imprese per costruire strategie legate ai crediti sostenibili in cui loro e gli stakeholders abbiano fiducia reciproca» ha affermato il direttore generale dei prodotti sostenibili globali di Shell Nick Osborne.

Allo stesso tempo l’espansione del suddetto mercato, volontario, non regolamentato e con molti standard e approcci diversi, sta suscitando dubbi e domande sulla reale sostenibilità ecologica di tali operazioni economiche, al centro di numerose accuse e indagini: «Le compensazioni possono mascherare gli sforzi insufficienti da parte delle aziende per ridurre le proprie emissioni, spesso ottengono meno di quanto dichiarato e possono escludere altri obiettivi ambientali nella fretta di acquisire i crediti» ha ammonito il Climate Change Committee del Regno Unito.

Una nuova e lunga indagine condotta dalle testate giornalistiche The Guardian e Die Zeit in collaborazione con SourceMaterial, un’organizzazione no-profit investigativa, ha messo sotto accusa i progetti di compensazione e le certificazioni adottate, evidenziando che oltre il 90% dei crediti di carbonio legati ai progetti anti-deforestazione sono sostanzialmente crediti fantasma che non rappresentano una reale riduzione delle emissioni.

Secondo le normative attuali le aziende possono acquistare nel mercato volontario i crediti di carbonio, finanziando così una serie di progetti legati alla tutela delle foreste tropicali e al recupero dell’ecosistema. Questi progetti dovrebbero teoricamente compensare le emissioni bilanciando l’impatto inquinante delle multinazionali, secondo le complesse certificazioni fornite dalla ong Verra, leader nel settore.

Ma l’indagine di giornalisti, e gli studi condotti insieme a diversi esperti e scienziati, mostrano invece che le certificazioni sarebbero falsate e che 21 dei 29 progetti approvati da Verra non porterebbero alcun beneficio nel contrasto alla crisi climatica. Altri 7 hanno basse performance, mentre solo uno sembra soddisfare le aspettative. «Molti di questi progetti possono aver portato molti benefici in termini di capacità di conservazione della biodiversità e delle comunità locali, ma gli impatti sul cambiamento climatico su cui si basano sono purtroppo molto più deboli di quanto sperato» ha dichiarato Singh Malhi, professore della University of Oxford.

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