Ambiente

L’ex Ilva inquina anche il latte materno

Lo testimonia la storia di Jacopo, 5 anni, nato tra i quartieri Tamburi e Paolo VI di Taranto, a cui è stata diagnosticata la leucemia. A La Svolta il racconto del padre e dei suoi legali, che hanno fatto causa allo Stato
Credit: Anna Taratiel
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20 gennaio 2023 Aggiornato alle 15:00

La maledizione dell’ex-Ilva colpisce senza soluzione di continuità.

A farne le spese è la salute di molti di quelli che, in un modo o nell’altro, sono venuti a contatto con l’acciaieria. Ma la condanna non si esaurisce con una generazione, viene tramandata da genitori a figli.

Nel caso di Jacopo Di Serio, cinque anni, nato e vissuto tra i quartieri Tamburi e Paolo VI di Taranto, a un passo dalla fabbrica, è la mamma ad avergli trasmesso, incolpevole, una terribile patologia, la leucemia. Attraverso il suo latte.

Il piccolo, fin dalla sua venuta al mondo, ha succhiato dal seno materno latte contaminato da diossine e policlorobifenili (pcb), sostanze tossiche che generano conseguenza gravissime sulla salute degli individui. Tra queste è stato rilevato anche il furano, un marker specifico dell’industria metallurgica che non lascia dubbi sull’origine. A venti mesi, dopo vari accertamenti e un’ odissea familiare, la terribile sentenza: leucemia linfoblastica di tipo B.

«Riteniamo che quanto accaduto alla famiglia Di Serio sia dovuto a una gravissimo inadempimento, negligenza e trascuratezza, oltre che dell’Ilva, dello Stato e che la questione non riguardi ovviamente solo il piccolo Jacopo ma una platea molto ampia di bambini e adulti che hanno subito e continuano a subire perché nessuna misura è stata mai adottata». A parlare è l’avvocato Anton Giulio Lana, dello Studio Lana Lagostena Bassi Rosi, un pool di legali specializzati in diritti umani.

È il coordinatore del collegio di difesa dei genitori del piccolo Jacopo, coadiuvato dagli avvocati Cosimo Portacci e Maria Immacolata Riso, nella causa intentata contro lo Stato italiano.

I legali chiedono la somma di oltre 1.500.000 euro a titolo di risarcimento del danno per le “gravi omissioni da parte dello Stato nel garantire la salute dei suoi cittadini”.

La prima udienza si è svolta lo scorso 5 gennaio presso il Tribunale di Lecce, il giudice, dott. Barbetta, ha rinviato il processo all’ udienza del 20 aprile 2023.

La Svolta ha raccolto le voci dei protagonisti della vicenda, gli avvocati Lana, Portacci e Riso e il papà di Jacopo, Donato Di Serio.

Lana: «L’originalità di questo giudizio sta nel fatto che siamo in ambito del diritto civile e chiediamo, in tempi rapidi, il risarcimento dei danni subiti da Jacopo e dai suoi genitori; stiamo portando avanti una causa davanti al Tribunale civile di Lecce, competente per i danni alla salute nella città di Taranto, nei confronti dello Stato, della Presidenza del Consiglio, dei Ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo Economico e della Salute. La peculiarità è che non vogliamo coinvolgere l’Ilva, contro cui, come è noto, ci sono tantissimi processi penali in corso, ma riteniamo responsabile lo Stato perché ha omesso di adottare una serie di misure volte a preservare la salute e a bonificare lì dove era messa a rischio. Tutte le altre cause che riguardano l’Ilva, hanno un iter penale e procedono con tutta una serie di lungaggini e vicissitudini che hanno a che fare con altri giudici e altre strutture. Noi puntiamo a far emergere questo caso simbolo, per chiedere giustizia morale da una parte, ed economica dall’altra. Speriamo che questa azione e altre simili, oltre che a risarcire le famiglie, possano pungolare le istituzioni perché si attivino e rimuovano tutti i fattori che causano danni ai cittadini. Le sentenze in sede di Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo sono tante, l’ ultima del 2022 ma l’Italia non ha fatto nulla. È uno scandalo dei giorni nostri e la vicenda della famiglia di Jacopo, siamo certi, è simbolica di tante altre costrette a incredibili sofferenze».

Donato Di Serio (papà di Jacopo): «A 20 mesi abbiamo scoperto la diagnosi, e subito abbiamo dovuto iniziare terapie molto pesanti. Per due anni, cicli di chemio, cortisone enodovena. Le lascio immaginare la situazione, aggravata anche da fatto che a Taranto non c’è un reparto di onconeonatologia pediatrica. Naturalmente i cicli cortisonici inducono conseguenze ma sono necessari per scongiurare eventuali recidive. Abbiamo svolto molti esami, anche sui nostri organismi di genitori, che non hanno lasciato dubbi: sono state rinvenute tracce di elementi tossici derivanti da aziende circostanti come l’ex ilva, l’Eni e altre. Ma l’Ilva ha avuto l’impatto maggiore. Per approfondire abbiamo svolto anche altri esami per verificare eventuali traslocazioni cromosomiche e sono risultati negativi: ciò significa che il danno è stato provocato da agenti esterni. Da quando abbiamo scoperto la leucemia, siamo sempre sotto controllo, il bambino è sottoposto a cure pesanti, i controlli devono proseguire fino al decimo anno e poi speriamo che non ci siano strascichi: potrebbe avere glicemia alta, diabete da adulto e altre patologie. Senza parlare del lato psicologico e dei gravi problemi che sta creando a tutti e tre».

Portacci: «Nel 2015 con mia moglie (l’avvocata Risi, ndr), vivendo a Taranto e avendo un bimba molto piccola, ci chiedevamo come mai nessuno avesse mai fatto nulla contro l’Ilva nei confronti dello Stato italiano. Da anni seguiamo clienti tarantini rivolgendoci alla Corte di Strasburgo e tra di loro sapevamo che molti avevano contratto patologie. Per questo lo Stato italiano è stato più volte condannato ma nessun indennizzo è stato mai pagato. Da qui, abbiamo pensato assieme all’avvocato Lana di intentare la causa».

Riso: «Abbiamo consultato una serie di studi e preso visione di accertamenti pregressi, alla ricerca di un nesso di causalità. Il rapporto Sentieri (un report pubblicato nel 2019 che ha messo in evidenza dati gravissimi tra i quali un tasso di mortalità superiore del 20% nell’area di Taranto rispetto all’intero territorio regionale, ndr) ha fatto emergere tutte le patologie e l’incidenza maggiore di leucemia: oltre il 54% rispetto alle altre patologie».

Lana: «Questa è una causa pilota, il primo procedimento civile fatto nei confronti dello Stato. Abbiamo scelto questo percorso perché la grossa differenza tra penale e civile è che nel primo la palla ce l’ha il pubblico ministero, nel secondo, invece, la palla è nel campo del danneggiato, il processo lo conduce il giudice su impulso del ricorrente. Attraverso questo processo-simbolo vogliamo far emergere anche che è assolutamente ingiusto che i lavoratori dell’ex Ilva così come di tante altre situazioni, debbano subire un vero e proprio ricatto occupazionale, scegliere se vivere in salute o lavorare è cosa che ci riporta indietro di secoli».

Donato Di Serio «Io lavoro all’ex-Ilva da 25 anni e pur sapendo quanto è successo a mio figlio, a me e mia moglie, sono costretto ad andarci per non restare disoccupato. Ma qui il responsabile è lo Stato che in questo modo ricatta migliaia di cittadini e non interviene. Uno Stato serio avrebbe riconvertito 20 anni fa come è stato fatto in Germania nel c a esempio, o in Austria. Tutta questa storia, ha un peso enorme su di noi, è qualcosa che influisce su tutte le nostre scelte, come nel caso della decisione di non avere più figli. È una cosa addosso più pesante di te. Dove trovo la forza? Mi basta guardare Jacopo».

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