Economia

Economia: buoni propositi per un 2023 femminista

Un nuovo anno, tutto da scrivere. Come rilanciare l’economia del Paese? Di cosa abbiamo bisogno? Quali sono gli errori che dovremmo riprometterci di evitare? Iniziamo dal capitale umano femminile
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Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
3 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

Se dovessi indicare un buon proposito, un auspicio al nostro paese per l’anno nuovo, partirei da un fattore che, anche singolarmente, potrebbe garantire al nostro paese di aumentare la ricchezza prodotta e quindi il benessere collettivo. Sto parlando del capitale umano femminile. Sappiamo dall’ultimo report di Almalaurea che, anche quest’anno, le giovani donne italiane si sono laureate prima e meglio rispetto ai colleghi maschi. Ormai abbiamo letteratura consolidata sul valore aggiunto che si crea quando vengono garantite le condizioni perché le donne entrino, rimangano e progrediscano sul mercato del lavoro. Eppure, nel nostro paese le donne occupate sono ancora troppo poche, la maternità rappresenta tuttora una causa di abbandono del lavoro, gli asili nido sono carenti e la cultura patriarcale in cui siamo immersi non aiuta.

Cosa fare? Per valorizzare adeguatamente il capitale umano femminile e liberare la forza lavoro delle donne italiane, è necessario un intervento strutturale in termini sia di servizi alle famiglie che di trasformazione culturale.

Sappiamo che il Pnrr ha destinato dei fondi ad hoc alla costruzione delle strutture per l’infanzia. Questo è un fattore certamente positivo, anche se come recentemente rilevato dalla Corte dei Conti è necessario provvedere con una prospettiva di medio termine alla copertura dei costi del personale che poi in quegli asili andrà a lavorare. Parallelamente, sarebbe auspicabile condurre un lavoro culturale di abbattimento degli stereotipi che conducono alle discriminazioni di genere, sia sul mercato del lavoro che all’interno della famiglia. E ripartire dalla cura. Nel nostro paese, il 75% delle attività di cura non retribuita viene svolto dalle donne. E molti giovani uomini, per fortuna, non si ritrovano più in un modello di suddivisione della genitorialità che non consente loro di fare i padri e di spendere del tempo con i propri figli.

Anche in questo caso, quali iniziative positive potremmo mettere in campo?

Partiamo dal congedo di paternità obbligatorio. Parifichiamolo con quello delle donne: 5 mesi a stipendio pieno. Serve a tutti: alle neo-mamme, che spesso fronteggiano situazioni di grande solitudine; ai neo-papà, che entrerebbero sin da subito nei meccanismi di gestione famigliare; ai figli e alle figlie, che potrebbero stabilire dal principio una relazione con entrambi i genitori. Infine, al paese. Sentiamo sempre parlare di natalità: i dati ci dimostrano che nei paesi in cui la genitorialità è più condivisa, si fanno più figli.

Infine, è arrivato il momento di riconoscere che le donne italiane non solo solo madri e lavoratrici dipendenti, ma che sono anche imprenditrici. Negli ultimi anni, il numero di nuove imprese femminili è stato di 3,5 volte superiore rispetto a quello delle nuove imprese maschili. E sono imprese particolarmente resistenti: nel 2020, nel bel mezzo della pandemia, le imprese femminili italiane si sono ridotte solo dello 0,29%. Praticamente, nulla. E però: sui 229 miliardi di Pnrr, alla creazione di nuove imprese femminili sono stati destinati solo 100 milioni. Che infatti sono terminati in una manciata di secondi, perché le domande erano moltissime.

Ultimo spunto: cosa possiamo fare? Le istituzioni, potrebbero (e dovrebbero) destinare nuovi fondi con questa finalità specifica di creazione di nuove imprese femminili, ma anche con quella di supportare quelle che già esistono ma che, a esempio, vorrebbero crescere (quello delle dimensioni dell’impresa è un tema molto italiano, che riguarda anche le imprese maschili ma che, nel caso di quelle femminili, è particolarmente marcato). Noi donne possiamo impegnarci attivamente nella ricerca di fonti di finanziamento alternative, rivolgendoci sia agli altri fondi non specificamente rivolti alle donne (ai quali possiamo ovviamente accedere) che anche agli istituti bancari.

Le donne italiane possono e vogliono creare ricchezza per sé, per le proprie famiglie e per il paese: diamo loro la possibilità di farlo.

L’augurio è quindi questo: che sia un anno (anche economicamente) femminista!

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