Economia

Asili a misura di Pnrr? Affatto

La Corte dei Conti segnala il ritardo nell’utilizzo dei fondi, anche per i nidi. Poche domande, grande divario tra Nord e Sud
Credit: Artem Podrez/pex
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 5 min lettura
15 dicembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Vuoi leggere una novità? La discriminazione delle donne sul mercato del lavoro non conviene a nessuno. E a confermarlo è anche il Fondo Monetario Internazionale: senza i divari di genere, il Pil mondiale crescerebbe del 35%. Sì, hai letto bene: proprio del 35%.

Come affermiamo spesso, la scarsa valorizzazione del capitale umano femminile è un considerevole ostacolo alla crescita. Anche perché le donne sono più istruite rispetto agli uomini, si laureano prima e meglio. E portano le proprie competenze sul mercato del lavoro, anche a livello apicale e questo consente alle aziende di produrre meglio e in maniera più efficiente.

Il primo Report dell’Observatory on Women’s Empowerment pubblicato recentemente da Ambrosetti The European House lo spiega molto chiaramente: nei Paesi del G20, a detenere un titolo di laurea è il 44,3% delle donne manager a fronte del 38,3% degli uomini manager.

Studiano di più e meglio, entrano sul mercato del lavoro e poi cosa accade? In Italia, per esempio, che quando diventano madri sono costrette a lasciare il posto di lavoro. Stando ai dati contenuti nel Report dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nel 2021 sono 38.000 le donne che hanno lasciato il lavoro. Non ci stupisce, ma questo numero è anche in crescita rispetto all’anno precedente.

Quando si chiede loro una motivazione per la fuoriuscita dal mercato del lavoro, il 65,5% delle donne indica le difficoltà legate al carico di cura. Quindi, le donne rinunciano a lavorare, ad avere la propria indipendenza economica, a utilizzar proficuamente (sia per sé che per il Paese) i propri talenti perché sono oberate dal carico di cura non retribuito.

Il nodo degli asili nido

Come si fa? Facile: utilizziamo gli asili nido. Il problema è che in Italia non ci sono. Quantomeno, sinora non ce ne sono mai stati abbastanza.

Per fortuna che ora abbiamo i fondi del Pnrr. Anzi, no. Perché è dovuta intervenire la Corte dei Conti a segnalare che così non va: nell’utilizzo dei fondi, siamo in ritardo. In generale, ma anche per gli asili nido. Ricordiamo che gli obiettivi di Barcellona fissati dall’Europa prevedono un minimo del 30% di copertura di posti in asili nido rispetto ai bambini che ne avrebbero diritto (mi viene sempre da pensare: e gli altri 7 su 10?). Ribadisco: questo è il minimo che avremmo comunque dovuto raggiungere come Paese. Ed è la soglia che ci siamo fissati anche a seguito dell’imbarazzante afflusso di denaro di cui siamo stati beneficiari attraverso Next Generation EU (leggi evidentemente una vena polemica: avremmo potuto senza dubbio osare di più).

Entro il secondo semestre del 2025, dovremmo quindi costruire 264.480 nuovi postipubblici solo per poter raggiungere il target minimo del 30%.

I fondi del Pnrr

Vediamo com’è la situazione. Nel Pnrr sono stati stanziati 3,7 miliardi di euro destinati alla ristrutturazione, alla conversione e alla la costruzione di strutture per i bambini di età compresa tra 0 e 6 anni. Di questo ammontare complessivo, 3 miliardi provengono dia fondi europei, 2 da Next Generation EU e 1 dai fondi di coesione.

Ottimo, si penserà. Non fosse che la prima scadenza per la presentazione dei nuovi progetti di costruzione degli asili nido è stata un flop: la prima, del 28 febbraio 2022, è stata rinviata di un mese perché sono arrivate domande per un ammontare complessivo che a stento raggiungeva la metà dell’importo stanziato. Per non parlare poi della distribuzione territoriale. Infatti, anche nel secondo bando le domande sono state insufficienti. Con ripercussioni preoccupanti.

I divari che persistono

Se nel Nord Italia, in molti casi la soglia del 30% è già stata raggiunta, in alcune regioni del Sud è tuttora lontanissima. E le domande per accedere ai fondi del Pnrr sono provenute più numerose proprio dalle aree del Nord (anziché da quelle del Sud).

In effetti, all’apertura del secondo bando le il Meridione, che dovrebbe assorbire il 55% dell’importo complessivo, ha risposto timidamente. Al punto che i termini per presentare le domande di accesso ai fondi sono stati riaperti fino a maggio, ma solo per i Comuni del Sud Italia, con una priorità data ai Comuni della Basilicata, del Molise e della Sicilia.

Le motivazioni addotte dalle Regioni del Mezzogiorno per non aver presentato domanda, però, sono tutto fuorché irrazionali. In effetti, nella stesura del Pnrr, i fondi sono stati destinati alla costruzione delle strutture per l’infanzia, ma non alla retribuzione del personale che poi avrebbe dovuto esservi impiegato (lo so, il nostro è un Paese meraviglioso).

È dovuto intervenire il Miur in seconda battuta per coprire questi costi almeno nella fase iniziale di avvio delle strutture, ma va da sé che, in questo modo, le aree più fragili del territorio italiano (che, se vogliamo, sono proprio quelle che più necessitano di strutture pubbliche) rischiano di rimanere escluse dalla possibilità stessa di partecipare al bando. Al punto che anche in questo ambito è dovuta intervenire la magistratura contabile, facendo esplicito riferimento alle spese di gestione quali cause della scarsa risposta al bando da parte degli enti locali e anche raccomandando al Ministero dell’Istruzione di razionalizzare la gestione dei fondi.

Sono numeri, sono dati, ma è la vita dei nostri figli e delle nostre figlie, è la vita delle donne e degli uomini di questo Paese. E ancora una volta sentiamo la necessità di ribadirlo: questi non possono essere trattati come temi secondari. È qui che si gioca il futuro, anche economico, dell’Italia.

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