Diritti

Le Hawaii preferiscono gli atleti alle atlete

Le studentesse della James Campbell High School hanno denunciato diversi episodi in cui è stata violata la legge federale del 1972 contro la discriminazione sessuale negli ambienti educativi
Credit: Rodnae Productions
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
25 ottobre 2022 Aggiornato alle 15:00

Nella più grande scuola superiore pubblica delle Hawaii c’è un problema di discriminazione sessuale diffusa e sistemica che emerge nel 50° anniversario della legge federale che vieta questo trattamento negli ambienti educativi.

Alcune atlete della James Campbell High School, la più grande scuola pubblica dell’arcipelago immerso nell’Oceano Pacifico, hanno denunciato episodi che violano la norma del 1972, andando al di là della partecipazione femminile agli sport universitari e della disparità di trattamento rispetto agli atleti: l’accusa rivolta ai funzionari della Campbell è di aver danneggiato le studentesse che avevano denunciato questi episodi.

Dopo che una Corte d’appello degli Stati Uniti si è espressa a favore delle atlete, affermando che loro causa avrebbe potuto diventare un’azione collettiva contro il Dipartimento d’Istruzione delle Hawaii, le studentesse hanno deciso di parlare pubblicamente, raccontando la loro storia al New York Times.

Ashley Badis, ex giocatrice di pallanuoto alla Campbell, ha denunciato la mancanza di una piscina per gli allenamenti della squadra femminile, costretta a effettuarli nell’oceano. Alcune ragazze hanno detto di aver trascinato per tutto il giorno borsoni contenenti palloni da calcio, parastinchi e altre attrezzature, vista l’assenza di sacche, reti e armadietti. Altre ancora sono state costrette a recarsi in un Burger King per usare il bagno o a cambiarsi sotto le gradinate del campo sportivo o sull’autobus. Episodi che non hanno riguardato in alcun modo i ragazzi, forti dei loro spogliatoi e delle strutture adeguate.

A volte le calciatrici non potevano allenarsi fino a quando le squadre maschili non avevano concluso i loro allenamenti sull’unico campo a disposizione, per non parlare delle trasferte: sono stati ben pochi i tornei disputati fuori dall’isola di Oahu, dove sorge la capitale delle Hawaii, Honolulu, poco distante dalla James Campbell High School. O ancora: nonostante le richieste delle atlete di pallanuoto, la scuola non aveva assunto nessun allenatore o allenatrice per la stagione primaverile, costringendo i genitori a reclutarne uno (senza che la scuola chiedesse documentazioni o ne controllasse i precedenti).

Spesso, nelle scuole superiori americane, sono i genitori a spingere i funzionari scolastici a offrire pari opportunità a studenti e studentesse, ma quando questo non avviene i distretti si accordano senza che i casi vengano processati. Il caso delle Hawaii fa anche riferimento a rappresaglie contro le ragazze che avevano sollevato preoccupazioni e avvertendo i membri dell’istituto di parlare con cautela intorno a loro. Tutto accade a cinquant’anni dalla promulgazione del Titolo IX, la legge fondamentale sull’istruzione statunitense che sancisce la parità di diritti tra i banchi di scuola e negli ambienti educativi.

Dopo la sentenza del giudice federale a favore di un’azione collettiva, è chiaro che l’esito del processo potrebbe interessare generazioni di ragazze hawaiane e fungere da stress test per le promesse e le responsabilità della legge del 1972. Le Hawaii, tra l’altro, sono il Paese d’origine di Patsy T. Mink, rappresentante statunitense che introdusse la legislazione sull’equità di genere nell’istruzione: «Se non riusciamo a fare le cose per bene nello Stato che lei rappresentava, allora dobbiamo riflettere seriamente», ha spiegato al New York Times Ellen J. Staurowsky, ricercatrice e professoressa di media sportivi all’Ithaca College.

Gli imputati, tra cui figurano il Dipartimento dell’Istruzione delle Hawaii e la Oahu Interscholastic Association, che sovrintende allo sport delle scuole superiori, hanno spiegato di aver fatto del loro meglio per fornire alle ragazze dei servizi adeguati. Eppure, già nel 2018, il sito di informazione Honolulu Civil Beat rivelava che le atlete non avevano mai avuto uno spogliatoio fin dalla fondazione dell’istituto, avvenuta nel 1962.

Dopo l’articolo, l’American Civil Liberties Union delle Hawaii, l’organizzazione che si batte per la difesa dei diritti e delle libertà civili nel Paese, ha chiesto al Dipartimento dell’Istruzione di elaborare un piano per affrontare le disuguaglianze, affermando che ben 14 scuole in tutto lo Stato avevano armadietti sportivi per gli atleti maschi, ma non per le ragazze. Frustrata dalla mancanza di progressi, l’Aclu hawaiana aveva citato in giudizio il Dipartimento nel dicembre 2018 per conto delle atlete. L’ironia della sorte è che in quel periodo lo stato delle Hawaii stava dedicando una statua a Patsy Mink.

Ora, il giudice ha fissato una data per il processo, che si terrà a ottobre 2023. Le studentesse non chiedono risarcimenti, solo cambiamenti e responsabilità. «Volevo assicurarmi che le cose andassero meglio per le generazioni future», ha spiegato Ashley Badis. «Non volevo che passassero quello che ho dovuto passare io».

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