Diritti

Gli sport che escludono le atlete transgender dalla categoria femminile

La federazione mondiale del rugby ha deciso di impedire alle giocatrici transgender di gareggiare nelle partite internazionali. La scelta fa eco a quella del mondo del nuoto
Credit: Quino Al/Unsplash
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
22 giugno 2022 Aggiornato alle 11:00

A poche ore dalla decisione della federazione mondiale del nuoto, un nuovo annuncio infiamma il dibattito: stavolta si parla di rugby. L’International Rugby League ha annunciato che le giocatrici transgender saranno escluse dalle partite internazionali, almeno fino alla Coppa del mondo femminile che si disputerà a novembre in Inghilterra e che coinvolgerà squadre provenienti dall’Australia, dal Brasile, dal Canada, dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Nuova Zelanda e dal Papua Nuova Guinea.

Non si tratterebbe di una decisione definitiva: l’intento è quello di portare avanti consultazioni e, se possibile, raccogliere le opinioni e le istanze delle stesse giocatrici in merito. «L’IRL continuerà a lavorare per sviluppare una serie di criteri, basati sulle migliori prove possibili, che bilanciano equamente il diritto dell’individuo a giocare e la sicurezza di tutti i partecipanti», ha dichiarato l’organizzazione.

Nelle ultime ore, poi, anche nel mondo dell’atletica leggera qualcuno si è sbilanciato in proposito. «La mia responsabilità è proteggere l’integrità dello sport femminile. Lo prendiamo molto sul serio e, se ciò significa che dovremo apportare modifiche ai protocolli in futuro, lo faremo», ha spiegato il presidente della Athletics Sebastian Coe alla BBC, il quale, presente ai Mondiali di nuoto a Budapest, ha voluto puntualizzare con la stampa che «se arriverà un momento in cui dovremo scegliere tra equità e inclusione, sarò sempre dalla parte dell’equità».

La scorsa domenica la Federazione internazionale di nuoto (Fina) ha votato contro la possibilità delle atlete transgender di prendere parte alle gare d’èlite femminili. In base alle nuove linee-guida, per essere accettate devono aver completato il processo di transizione di genere da almeno 12 anni.

Un’eventualità altamente improbabile visti i tempi tecnici e le implicazioni psicologiche che comporta il percorso. Nel congresso straordinario tenuto ai Mondiali di nuoto in corso a Budapest, la decisione ha ottenuto il 71,5% dei voti favorevoli tra i 152 membri della Fina.

Già a novembre 2021 la federazione aveva costituito un team scientifico di medici, giuristi ed esperti di inclusione e sport. Nel documento redatto si legge “Il divario che si crea fra le prestazioni atletiche è dovuto anche alle differenze di sesso che emergono all’inizio della pubertà”.

Inoltre, l’obiettivo è definire una nuova categoria “aperta” per ə nuotatorə la cui identità di genere non coincida con il sesso biologico. Nei prossimi 6 mesi un gruppo di lavoro stabilirà i criteri per la sua istituzione.

«Dobbiamo proteggere il diritto dei nostri atleti a competere, ma dobbiamo anche tutelare l’equità competitiva nei nostri eventi, in particolare nella categoria femminile - ha affermato il presidente della Fina Husain Al-Musallam, specificando che - la creazione di una categoria aperta significherà che tutti avranno l’opportunità di competere a livello d’élite. Questo non è mai stato fatto prima, quindi la Fina farà da apripista».

Le dichiarazioni delle federazioni internazionali del nuoto e del rugby hanno suscitato indignazione e critiche da parte dei sostenitori dei diritti delle persone transgender. «L’esclusione delle atlete transgender rischia di violare i principi internazionali di non discriminazione dei diritti umani, che vedono lo sport come un luogo di inclusione», ha affermato Anna Brown, CEO di Equality Australia.

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