Ambiente

Flight shame? Viaggiamo (un po’) meno

È la vergogna di volare per le emissioni che produciamo. Ma non possiamo azzerare i nostri spostamenti aerei. E se mettessimo una tassa ai frequent-flyer per decarbonizzare l’aviazione?
Credit: Rayyu Maldives/unsplash
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21 ottobre 2022 Aggiornato alle 06:30

Da qualche tempo di parla di flight shame, concetto che può essere tradotto in italiano come la “vergogna di volare”. Questa idea si è diffusa a partire da un movimento svedese, flygskam, nato nel 2018 per dissuadere le persone dalla scelta di volare in aereo, al fine di ridurre le emissioni di anidride carbonica e contrastare il cambiamento climatico. Diffuso tra molti giovani, sempre di più celebrità e cittadini comuni arrivano persino a nascondere le proprie vacanze all’estero per evitare di essere criticati sui social da fans e conoscenti.

Attualmente il settore aereo passeggeri e merci pesa circa il 2-2,5% del totale delle emissioni globali, una quota non certo irrisoria, di poco inferiore alle emissioni del mondo digitale. Quindi a prima vista il flight shaming appare sensato come strumento per ridurre la quota di emissioni. Hanno raccolto numerose adesione i promotori di questa sorta di gogna pubblica per chi vola. Ne sono stati testimoni l’atleta olimpico Bjorn Ferry, che ha deciso di partecipare unicamente a eventi tenuti in località raggiungibili in treno, e Greta Thunberg, che cerca sempre di scegliere questo mezzo per i suoi viaggi.

Recentemente gli attivisti hanno concentrato l’attenzione su chi viaggia con jet privati, i passeggeri più inquinanti al mondo per chilometro percorso. Oggi, secondo l’Ong Transport and Environnement, l’8% dei voli totali rientra in questa categoria, con un aumento delle emissioni del 35% tra il 2015 e il 2019. Per questa ragione il mondo dei climattivisti si è giustamente lanciato contro i superricchi che usano un aereo privato per compiere i propri spostamenti, con l’impronta carbonica più alta in assoluto per km coperto.

Sui social si è diffusa la protesta intorno a un brillante account chiamato propriamente Jetdeiricchi che mappa gli spostamenti dei Paperoni italiani. Si possono scoprire le “malefatte” di Diego Della Valle o John Elkann che usano il proprio jet anche per spostamenti facilmente fattibili in treno come Torino-Milano. Il 27 maggio Elkann ha volato per 20 minuti tra i due capoluoghi emettendo 1,3 tonnellate di CO2. Più o meno quanto una persona media in 6 mesi di trasporto. Un tragitto percorribile in 38 minuti con l’alta velocità. Emettendo solo 0,003 tonnellate equivalenti di CO2, il 99,7% in meno.

Nonostante le emissioni del settore aereo nel 2020-21 si siano ridotte significativamente a causa della pandemia, nel 2022 si è tornati a volare alla grande, con buona pace del flight shaming. Dopo quasi 2 anni fermi nel proprio Paese, in tanti hanno voluto riscoprire il piacere del viaggio all’estero, infischiandosene delle emissioni di gas serra. Se da un lato i jet-privati sono un’aberrazione per ultraricchi (innanzitutto in quanto simbolo delle diseguaglianze di reddito tra cittadini), dall’altro non è semplice ridurre drasticamente i voli di tanti cittadini, magari costretti (chi vive sulle isole, per esempio), magari con affetti all’estero, magari necessari per lavori che non si possono svolgere sempre via Zoom (ditelo a un fotografo).

Un mondo senza connessioni e viaggi sarebbe meno aperto a contaminazioni, a scambi di conoscenza, opportunità di lavoro e di vita, a un’apertura mentale che a volte il viaggio contribuisce ad avere. Non possiamo azzerare i nostri spostamenti aerei. Dobbiamo farlo in maniera intelligente.

Se indubbiamente dobbiamo ridurre soprattutto i viaggi a breve raggio, ovvero al di sotto dei 1.500 chilometri sostituibili con treni e navi, per i voli internazionali non esistono soluzioni pratiche e a emissioni zero. Da un lato, vanno evitati spostamenti di lungo raggio per pochi giorni (se si intraprende un lungo soggiorno, per affari o per piacere, meglio farlo per periodi prolungati).

Tuttavia, rimane il problema di come riuscire ad affrontare spostamenti a lungo raggio a emissioni zero. Al momento le alternative ai jet-fuel sono limitate a blend di biocarburanti con carburanti fossili e synthetic-fuel, alcuni sintetizzati dai rifiuti attraverso l’uso di energie rinnovabili. Questi nuovi carburanti però hanno applicazione limitata e costi elevati (i synthetic fuel costano tra i 2,26 € e 3,35€, contro una media di 0,50 litro per i jet fuel fossili). Serve tantissima innovazione e investimenti economici per creare la prossima generazione di carburanti a emissioni ridotte in grande scala.

Per fomentare questa trasformazione arriva una nuova proposta dall’International Council on Clean Transportation (Icct), un think tank specializzato sulle regolamentazioni ambientali: una tassa per i frequent-flyer che potrebbe generare le entrate necessarie per decarbonizzare profondamente l’aviazione fino alla metà del secolo, concentrando l’onere dei costi su coloro che volano di più.

Secondo l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (Icao) entro il 2050 potrebbero essere necessari 4 trilioni di euro in investimenti tecnologici per ottenere riduzioni delle emissioni compatibili con un limite di 1,75°C sulla temperatura globale. Ciò si traduce in un investimento annuo di 121 miliardi di euro da parte del settore aereo. La soluzione per Icct, alternativa a un dazio fisso per passeggero aereo di circa 25 euro, è una tassa per frequent-flyer (Frequent-Flyer Levy o Ffl) che aumenta progressivamente con ogni volo preso in un anno (da 10 a 180 euro circa).

La Ffl è progettata per imporre un crescente carico fiscale sulle persone che volano frequentemente: solo la tassa potrebbe generare l’81% delle sue entrate dai frequent flyer (coloro che effettuano più di 6 voli all’anno, ovvero circa il 2% della popolazione mondiale) e il 90% delle sue entrate dal 10% più ricco del mondo. In questo modo si scaricherebbe l’onere soprattutto su chi vola tanto per business e non chi una volta all’anno va a trovare i figli in America.

Anche questa, certo, non sarà una soluzione in grado da sola di cambiare il settore. Ma in fondo sappiamo che la vera svolta ci sarà solo applicando un mix di soluzioni, dalla riduzione dei viaggi a breve raggio allo stop dei jet dei privati, fino all’uso del treno e al sostegno della decarbonizzazione del settore con delle accise dedicate a chi vola tanto. Senza svergognare nessuno (ultra ricchi esclusi).

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