Diritti

Usa: si scrive sangue, si legge dollari

Nel Paese è legale pagare le persone per donare il plasma. E per alcune, questo è l’unico modo per sopravvivere
Credit: Anirudh
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
27 settembre 2022 Aggiornato alle 10:00

Negli Stati Uniti i poveri vendono (letteralmente) il sangue per vivere.

Il “mercato del sangue” statunitense vale 3,3 miliardi di dollari, secondo il Global Market Insights Inc. Stiamo parlando, dice una stima di Census Bureau, del 2,69% delle esportazioni totali. Le donazioni di plasma negli Stati Uniti sono triplicate da 12 milioni all’anno nel 2006 a 38 milioni all’anno nel 2016, secondo la Plasma Protein Therapeutics Association.

Allo stesso tempo, il numero di centri di donazione è raddoppiato, da 300 siti nel 2015 a oltre 600 nel 2019.

Quando il plasma si trasforma in dollari

Negli Usa - che forniscono il 70% del sangue globale – è legale compensare le persone per la loro donazione. Grifols, CSL Plasma, Takeda’s Biolife e Octapharma, i grandi centri di donazione di sangue e plasma, pubblicizzano la donazione come mezzo per guadagnare fino a 900$ nel primo mese. Una cifra che poi scende per attestarsi intorno ai 30-50 dollari per ogni donazione. Considerando che procedura richiede in genere circa 90 minuti, è ben più del salario minimo federale di $ 7,25 all’ora.

Si può donare fino a 2 volte a settimana, ogni settimana, per un totale di ben 104 donazioni in un solo anno. La maggior parte dei Paesi non solo vieta un corrispettivo economico per la donazione, ma stabilisce un limite massimo di una donazione a settimana o annuale, per tutelare la salute dei donatori.

«Il fatto di essere stata ricompensata per la donazione mi ha fatto continuare a donare, perché non potevo farcela altrimenti. Non potevo comprare il gas. Non potevo pagare la mia assicurazione auto. Posso guadagnare da $ 650 a $ 700 al mese», ha spiegato Teresa Clark, una donatrice di plasma, alla Cnbc. Le parole di Daniel alla Abc le fanno eco: «Dono appositamente per i soldi perché lavoro con un salario minimo».

Mappare l’ingiustizia

Per alcune persone, donare il sangue e il plasma diventa quindi uno strumento di coping economico. Chi siano queste persone lo rivela una ricerca condotta da Analidis Ochoa, una dottoranda in studi sociali e sociologia alla University of Michgan, che assieme ai colleghi ha mappato i centri per capire se esiste una correlazione tra il livello di povertà della zona e gli indirizzi dei centri di donazione. Poco sorprendentemente, c’è: queste strutture sono sovrarappresentate nelle aree ad alta povertà. Secondo la Abc, addirittura quasi l’80% dei centri plasma negli Stati Uniti si trova nei quartieri più poveri d’America.

Già uno studio del 2018, condotto dai ricercatori della Case Western Reserve University, aveva rilevato che gli stati con un numero maggiore di centri di donazione di plasma avevano anche maggiori probabilità di avere una popolazione più elevata di lavoratori a basso reddito e con salario minimo. Lo studio ha anche riscontrato una maggiore prevalenza di centri di donazione negli stati con meno assistenza in denaro disponibile per le persone a basso reddito. Una ricercatrice che ha partecipato allo studio, Heather Olsen, ha affermato che le società di donazione di plasma stanno «collocando chirurgicamente» centri di donazione in quartieri poveri.

Il professor H. Luke Schaefer della University of Michigan, coautore di $2 al giorno: vivere con quasi niente in America, ha spiegato a MintPress News: «Il massiccio aumento delle vendite di plasma sanguigno è il risultato di una rete di sicurezza inadeguata e in molti luoghi inesistente, unita a un mercato del lavoro instabile. La nostra esperienza è che le persone hanno bisogno di soldi, questo è il motivo principale per cui si presentano nei centri di donazione».

La donazione di plasma sanguigno, però, ha un grave impatto sulla salute del donatore, soprattutto per i chi dona spesso o per un lungo periodo di tempo. Uno studio del 2010 ha rilevato che i donatori frequenti hanno livelli più bassi di proteine nel sangue, aumentando il rischio di infezioni e disturbi del fegato e dei reni.

Il sangue dei poveri sì, il sangue dei gay? Nì

Le strategie per sopperire alla necessità di sangue e plasma, preziosissimi proprio perché non possono essere riprodotti artificialmente, ci sarebbero. Senza ricorrere allo sfruttamento dei più poveri ma, anzi, sanando una disuguaglianza sancita per legge ormai quasi 40 anni fa.

All’inizio della pandemia, la carenza di sangue ha spinto la FDA ad allentare le restrizioni in materia di donazione di sangue da parte di uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. Un retaggio della crisi dell’AIDS degli anni ‘80, durante cui la sindrome da immunodeficienza acquisita era stata identificata a tal punto con la comunità omosessuale che il primo nome utilizzato anche in ambito scientifico era GRID, Gay Related Immunodeficiency Syndrome. Nonostante le pressioni, però, la FDA non sembra intenzionata a seguire la scienza e rimuovere del tutto il divieto.

«Esiste ancora una politica del governo che stigmatizza gay, bisessuali e altri uomini che fanno sesso con uomini e porta avanti questa falsa idea che ci sia qualcosa di intrinsecamente malato nell’essere gay», ha detto alla Cnbc Jason Cianciotto, vicepresidente delle comunicazioni e delle politiche pubbliche di Gay Men’s Health Crisis.

Permettere anche agli uomini che fanno sesso con uomini di poter donare rappresenterebbe un importante incremento dell’afflusso di sangue, che un rapporto del 2014 ha stimato tra il 2 e il 4% annuo.

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