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La smart city sarà (bio)diversa?

Oggi, per Le città del futuro/3, vogliamo parlarvi dei centri urbani attenti alla biodiversità. Secondo la University College London, questi potranno supportare l’analisi dello sviluppo delle malattie
Credit: René Riegal/unsplash
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
24 agosto 2022 Aggiornato alle 13:00

Da sempre considerati misteriose creature della notte, amati dai poeti romantici e dagli scrittori gotici, fedeli amici dei vampiri: stiamo parlando dei pipistrelli. Sono dei mammiferi anomali, gli unici in grado di volare, muovendosi al buio grazie a un sonar naturale, ma soprattutto sono utilissimi per conservare gli equilibri degli ecosistemi.

Kate Jones, professoressa di Ecologia e Biodiversità al Centre for Biodiversity and Enviromental Research presso l’University College London, da anni studia i pipistrelli con svariate applicazioni: i suoi esperimenti e le sue ricerche si orientano in particolare sul rapporto tra la salute dell’habitat e quella dell’essere umano.

Come spiega la scienziata alla rivista Nature, questi mammiferi rappresentano spesso un’eccezione nel mondo animale: per dirne una, esistono specie di pipistrelli che vivono anche 40 anni, mentre topi delle stesse dimensioni appena 18 mesi.

La domanda che si è posta Jones è: i pipistrelli possono esserci utili per progettare un nuovo modello di città, sostenibile non solo per l’uomo, ma anche per l’ambiente circostante?

Così, lei e il suo team hanno installato sensori in alcune box per pipistrelli disposte intorno al Queen Elizabeth Olympic Park.

Esaminare la salute di queste colonie nei centri urbani potrebbe rappresentare un importante indicatore per valutare l’equilibrio dell’intero ecosistema. Ciascun monitor cattura il paesaggio sonoro attorno, cioè l’insieme dei rumori e dei suoni non solo degli esseri umani, ma anche degli uccelli e persino degli insetti attraverso un microfono a ultrasuoni.

Tutte le informazioni vengono rielaborate in uno spettrogramma, che raffigura le frequenze dei vari segnali audio. Dopodiché è possibile individuare e catalogare i versi delle singole specie e interpretarli per fotografare le tendenze della popolazione.

Uno studio del genere potrebbe avere dei risvolti interessanti anche per quanto riguarda lo sviluppo di focolai di malattie. Già nel 2020 Kate Jones aveva condotto assieme ad altri studiosi una ricerca che ha messo in luce l’enorme impatto dell’uomo sulla riduzione della biodiversità e il conseguente aumento del rischio di focolai.

Una volta raccolti 3,2 milioni di registrazioni da siti ecologici sparsi in continenti diversi, il team ha scoperto che nel passaggio da ambiente naturale ad urbano, le popolazioni di pipistrelli e altri mammiferi capaci di trasmettere agenti patogeni all’uomo tendevano ad aumentare. È il caso, per esempio, della febbre di Lassa, di cui sono portatori i topi. Negli habitat alterati dall’essere umano, ratti e persone finiscono per entrare in contatto più facilmente, generando delle epidemie.

La città del futuro quindi non dovrà modificare, ma incorporare all’interno dei propri spazi urbani il paesaggio naturale, per proteggere non solo la salute ambientale, ma anche indirettamente quella umana.

Per farlo, è necessario aprire un dialogo tra ecologisti e architetti: prevedere aree verdi e parchi probabilmente non basta a scongiurare il rischio di isole di calore urbane e di inondazioni. Occorre ripensare il design delle nostre città e per farlo servono progetti interdisciplinari per salvaguardare il più possibile la biodiversità.

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