Ambiente

Giù le mani dai pipistrelli

Veterinaria della fauna selvatica, Stefania Leopardi ha dedicato gli ultimi 6 anni della sua vita allo studio dei chirotteri: mammiferi schivi che la pandemia ha (ingiustamente) messo all’indice. Ora in un libro l’esperta cerca di riscattarli. Ripercorrendo una lunga storia genetica
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6 marzo 2022 Aggiornato alle 21:35

Fatico a credere che Stefania Leopardi abbia paura dei ragni. Lo scrive lei stessa, tra le pagine del libro L’innocenza del pipistrello - fresco di stampa per Edizioni Ambiente - e lo confessa al telefono mentre sta per volare a un incontro dell’IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura: una riunione tra i massimi esperti delle specie che, ormai da 6 anni, sono l’oggetto del suo lavoro di indagine da veterinaria della fauna selvatica, i chirotteri. Ovvero: quei mammiferi schivi e notturni dalla storia millenaria (hanno ben 50 milioni di anni) e dalla fama ingrata, associati a vampirismo e satanismo da cinema e letteratura, e nell’ultimo biennio vero bersaglio dell’umanità per essere tra gli indiziati numero 1 della pandemia di SARS-CoV-2.

Sorride, Stefania, quando racconta come il Covid-19 le abbia regalato una inaspettata notorietà: padovana con studi a Bologna, Milano e in Gran Bretagna, dal 2015 lavora nel laboratorio di zoonosi emergenti e riemergenti dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie. Meticolosa, amante della montagna e avventurosa, non è raro che per le sue ricerche si addentri nei sottotetti roventi di qualche città o nelle grotte oscure con guanti, retino, protezioni per prelevare campioni di sangue e fare tamponi a colonie di pipistrelli per sequenziarne i virus.

Un mestiere, il suo, fino al 2020 sempre un po’ incompreso sia dai familiari (“mia madre mi telefonava per aiutare un’amica che aveva qualche problema con le galline”) sia dai superiori, che ironicamente la definiscono “la Cenerentola dell’Izs” perché insegue virus negletti (in particolare, i lyssavirus tra i quali il rabies virus che diffonde la rabbia, che scova anche in Italia grazie a un gatto ad Arezzo). Con l’arrivo della pandemia tutto cambia e i suoi preziosi studi finiscono al centro dell’attenzione, insieme all’inizio della persecuzione contro i suoi animali d’elezione: “Mio marito Daniele, che prima mi definiva vagamente ricercatrice, oggi dice che sono una virologa, perché finalmente sa come raccontarmi”.

Torniamo al 1° gennaio 2020. Stefania come ogni mattina beve il caffè leggendo una newsletter per addetti ai lavori chiamata proMED, in cui si cita una “Undiagnosed Pneumonia in China, Wuhan”. Da esperta, capisce subito che è un coronavirus. “Circa un anno prima” racconta nel libro “un gruppo di ricercatori aveva dimostrato che alcuni contadini cinesi della provincia dello Yunnan avevano anticorpi contro un virus simile a quello della SARS del 2003”. Eccolo, si dice: era solo lì in attesa. “Ho capito che stavamo sentendo il rumore della valanga, ma che presto sarebbe arrivata la polvere. Ho solo sperato che la neve non ci travolgesse”.

Invece, la slavina travolge il mondo, ed entra nella nostra storia. L’indagine sulle cause va veloce, e il luogo indiziato numero 1 è il wet market di Wuhan, famoso per la vendita di animali esotici vivi. Si cercano senza successo animali “serbatoio”, ma si arriva poi con il sequenziamento facilmente a lui: il Rhinolupus sinicus, detto anche pipistrello ferro di cavallo. “Su 100 articoli scientifici che trattano di sorveglianza per coronavirus negli animali dal 2003 a oggi, più di 70 riguardano il campionamento di pipistrelli, che non a caso sono oggi gli animali in cui è stato descritto in assoluto il maggior numero di coronavirus”.

Chiedo a Stefania di aiutarmi a capire qual è stato il famoso salto di specie, il cosiddetto “spillover” (termine ormai noto in tutto il mondo grazie all’omonimo best-seller del divulgatore David Quammen). Lei, che studia la filogenesi, ovvero la sequenza genetica che riporta indietro di millenni la storia di un patogeno, lo definisce un evento stocastico, ovvero legato al caso, “una sfiga insomma” dice ridendo. L’ospite-serbatoio, il virus e un nuovo ospite suscettibile si devono trovare nello stesso posto nello stesso momento, come scrive nel libro: “I virus non pensano, non mangiano, non camminano, a volte non fanno neppure nulla all’ospite che infettano. Ci sono quelli che si adattano meglio, come SARS-CoV-2. Generazione dopo generazione questo virus, che forse un giorno era uno tra i tanti delle tante specie di pipistrello ferro di cavallo, è arrivato fino a noi. Ha trovato nuove vie respiratorie, nuovi recettori, nuovi ph. Impareremo a gestirlo come patogeno umano”.

Ma puntare il dito sull’animale che lo ospita da secoli è sbagliato, avvisa la studiosa: “Scaricare la colpa sui pipistrelli è assurdo: sono animali schivi, minacciati dall’uomo. Sono aumentate le condizioni predisponenti al salto: un mondo più connesso che offre autostrade ai virus, così come un avvicinamento irresponsabile alla natura. Solo negli anni ’90 il turismo speleologico attirava 20 milioni di persone. E poi deforestazione, urbanizzazione, caccia e commercio di animali”.

Stefania Leopardi avrebbe una lista nera di cause che portano le epidemie nel cuore dell’Antropocene, l’era dominata dall’uomo, la nostra. Ma è ora di volare a Londra, per proseguire i suoi studi. Ci sono altri virus che destano preoccupazione, oggi. Ma questa – dice - sarà un’altra storia.