Ambiente

Sconfiggere la fame nel mondo con il mercato ittico

Secondo la Blue Food Assessment la pesca potrebbe contribuire al raggiungimento dell’obiettivo dell’Onu di sconfiggere la fame entro il 2030, senza considerare gli effetti negativi su tutta la filiera ittica
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26 ottobre 2021 Aggiornato alle 15:41

La fauna marina è in uno stato di emergenza senza precedenti: secondo la FAO quasi il 90% delle popolazioni ittiche è pari o inferiore alla metà dei livelli storici e nella lista rossa delle specie minacciate dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, compaiono più specie di pesci rispetto ad altre categorie di animali. Solo dal 1970, le popolazioni globali di squali e razze sono diminuite di oltre il 70%.

Eppure l’iniziativa internazionale appena partita, la Blue Food Assessment (Bfa), in collaborazione con lo Stockholm Resilience Centre, l’Università di Standford e l’EAT, che riunisce più di 100 scienziati di 25 istituzioni, sostiene che per garantire cibo a sufficienza alle generazioni future e minimizzarne l’impatto sull’ecosistema, una soluzione è rappresentata proprio dagli alimenti acquatici. Animali, piante e alghe coltivati e catturati in acqua dolce e in altri ambienti marini sarebbero una soluzione per la popolazione mondiale che secondo l’Onu sfiorerà i 10 miliardi con conseguenti effetti sull’accesso alle risorse alimentari. Il secondo obiettivo dell’Onu, da raggiungere entro il 2030, è quello di evitare che ogni anno 9 milioni di persone muoiano di fame. La risposta alla domanda alimentare sempre in crescita, secondo Blue Food Assessment, potrebbe essere rappresentata proprio dal mercato del pesce, senza considerare il grave impatto che le attività legate alla pesca hanno sull’ambiente marino, tutt’altro che in salute.

La principale causa della crisi di estinzione di specie acquatiche, infatti, non è il cambiamento climatico o l’inquinamento da plastica, ma proprio la pesca. Nonostante questa consolidata verità il neonato progetto Blue Food Assessment sostiene che il pesce pescato sia il miglior prodotto alimentare sostenibili per risolvere il problema della fame nel mondo.

Uno studio pubblicato su Nature rivela che la pesca a strascico emette circa la stessa quantità di anidride carbonica (CO2) a livello globale dell’industria aeronautica.

Mentre, secondo il rapporto di Bfa, i prodotti ittici e l’acquacoltura hanno spesso un impatto ambientale inferiore e forniscono maggiori benefici nutrizionali rispetto ad altri alimenti, contribuendo alla sicurezza alimentare, rendendoli economicamente ed ecologicamente sostenibili. La narrazione sul blue food rischia però di essere approssimativa, con proiezioni di un abbattimento dei costi di produzione del 26% entro il 2030, favorendo una riduzione dei casi di carenze nutritive.

La Blue Food Assessment, invece, non considera gli effetti negativi della pesca, dall’impoverimento delle popolazioni marine allo sconvolgimento delle reti alimentari.

La pesca è, infatti, responsabile della distruzione delle barriere coralline e di km di alghe, senza considerare l’alto numero di reti abbandonate o perse accidentalmente che tra i rifiuti marini rappresentano una delle minacce più grandi per l’ecosistema. Le operazioni di pesca oltre a uccidere ogni anno circa 300 mila delfini, balene e focene e fino a 30 mila squali ogni ora, sono responsabili di una parte dell’inquinamento marino: i materiali polimerici di cui sono per lo più costituite le reti, permanendo spesso a lungo nell’ambiente marino, possono ridursi in frammenti sempre più piccoli, contribuendo all’aumento della presenza di microplastiche nei mari e negli oceani.

Altro capitolo quello sui benefici per la salute dei prodotti ittici: il pesce può essere ricco di vitamine e minerali ma può anche contenere microplastiche e tossine bioaccumulabili e dannose alla salute come mercurio, diossine e binefili policlorurati (PCB).