Diritti

Chiude Novaya Gazeta: a Mosca non c’è più spazio per una voce libera

Si ferma anche l’ultimo giornale indipendente rimasto in Russia. L’annuncio ieri: sospese le pubblicazioni fino alla fine della guerra in Ucraina. La stretta del Cremlino su tutte le pubblicazioni che non si piegano alla propaganda
Dmitrij Muratov, premio Nobel per la Pace nel 2021 e caporedattore di Novaya Gazeta dal 1995.
Dmitrij Muratov, premio Nobel per la Pace nel 2021 e caporedattore di Novaya Gazeta dal 1995.
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29 marzo 2022 Aggiornato alle 15:00

Di questo passo, così, non ne rimarrà più nessuno. Anche se in Russia Novaya Gazeta era davvero l’ultima voce libera nel mare di censura sempre più profondo da un mese a questa parte. Ieri l’annuncio, sospese le pubblicazioni fino alla fine della guerra.

Sono bastate poche righe per spiegare la decisione: «Abbiamo ricevuto un altro avviso da Roskomnadzor – si legge sul sito del giornale con data 28 marzo - Sospendiamo la pubblicazione online e sulla carta fino alla fine della “operazione speciale sul territorio dell’Ucraina”. Cordiali saluti, i redattori di Novaya Gazeta».

Qualche minuto prima, la notizia di un secondo avvertimento ricevuto dall’ente statale russo che controlla i media nei confronti della redazione e del fondatore del giornale per aver menzionato una associazione riconosciuta come “agente straniero” senza farlo presente ai lettori, violando di fatto la legge. Nel Paese i media che operano in Russia, finanziati dall’estero, sono infatti costretti a registrarsi con questa dicitura, pena multe, blocco o addirittura la detenzione.

Dalla sua entrata in vigore, il 21 novembre 2012, centinaia di organizzazioni non governative che ricevevano fondi dall’estero hanno subito una profonda riduzione delle donazioni, danni alla reputazione, intimidazioni e procedimenti giudiziari nei confronti dei loro esponenti. Dall’inizio della guerra in Ucraina, la maggior parte delle associazioni o media riconosciuti come “agenti stranieri” è stata costretta a chiudere o a lasciare il Paese (molti siti sono stati oscurati e bloccati).

Un’ulteriore stretta è arrivata il 4 marzo con la legge che introduce pene fino a 15 anni di carcere per la diffusione di notizie ritenute false sulle azioni militari russe in Ucraina.

Lo scorso 22 marzo Roskomnadzor aveva già inviato un avvertimento scritto alla redazione di Novaya Gazeta per non aver etichettato una ONG proprio come “agente straniero”. Tra pochi giorni l’ultimo periodico libero e indipendente russo avrebbe compiuto 29 anni dalla sua prima pubblicazione il 1° aprile 1993, due anni dopo il crollo dell’URSS: il sogno di un prodotto di informazione libero sostenuto e cofondato da Mikhail Gorbaciev e Dmitrij Muratov, premio Nobel per la Pace nel 2021 e direttore dal 1995.

Chissà se a complicare la situazione sia stato anche il video di Muratov nel giorno dell’aggressione militare russa in Ucraina in cui esprimeva “dolore e vergogna”, o la prima pagina del giornale stampato in russo e in ucraino in segno di solidarietà con il Paese invaso. In continua collisione con il governo per il bavaglio alla libertà di stampa, Novaya Gazeta si è sempre distinto per le inchieste, gli articoli di denuncia, e la voce di dissenso.

Ne è un esempio la morte di Anna Politkovskaja, uccisa nel giorno del 54esimo compleanno di Vladimir Putin, il 7 ottobre 2006, in un agguato di cui non è mai stato indicato il mandante. Nel giornale, c’era sempre spazio per la penna di Anna, per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le critiche contro i governi russi, così come per quelli di Anastasia Baburova, collaboratrice di Novaya Gazeta, uccisa nel 2009, a 25 anni, nel centro di Mosca per una ferita d’arma da fuoco alla testa.

Ci ha provato fino alla fine Muratov, il giornalista che dopo aver vinto il premio Nobel per la Pace lo scorso ottobre aveva ringraziato proprio i colleghi del giornale: «Il merito è della Novaya Gazeta. Di quelli che sono morti difendendo il diritto alla libertà di parola. Dato che non sono più con noi, il Comitato del Nobel ha evidentemente deciso che lo dica io. Il merito è di Igor Domnikov, di Yuri Shchekochikhin, di Anna Stepanovna Politkovskaja, di Nastja Baburova, di Natasha Estemirova, di Stas Markelov. Ecco la verità. Questo Nobel è per loro».

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