Ambiente

Crisi climatica: i media italiani ne parlano di più ma “tralasciando cause e impatti del fossile”

Secondo il nuovo report di Greenpeace, riferito al 2023, i giornali (cartacei), i Tg e i canali Instagram non affrontano sufficientemente la questione climatica, anche a causa dell’influenza dei giganti del fossile
Credit: David Huck  

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29 aprile 2024 Aggiornato alle 14:00

Si parla più di clima, ma solo in caso di eventi catastrofici o che impattano sulle vite degli italiani, il tutto però senza specificare le cause (le emissioni antropiche legate ai combustibili fossili) dell’estremizzazione degli eventi meteo.

Anche quest’anno Greenpeace, insieme all’Osservatorio di Pavia, ha analizzato l’informazione italiana per capire quanto e come la questione della crisi climatica venga raccontata realmente ai cittadini.

Ancora una volta l’analisi si sofferma su carta stampata e telegiornali, analizza in parte anche i social, ma non entra nello specifico del flusso di informazione online (la maggior parte degli articoli e approfondimenti).

Detto ciò il report annuale di Greenpeace ha esaminato, da gennaio a dicembre 2003, come per esempio la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali (delle reti Rai, Mediaset e La7) e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram.

I quotidiani

Rispetto al 2022, quando in media venivano pubblicati 2 articoli al giorno sulla crisi del clima, c’è stato un passo in avanti: gli articoli prodotti dai principali quotidiani cartacei sono in media 2,7, “sebbene quelli effettivamente dedicati al clima siano appena un terzo”, aggiungono però da Greenpeace.

Secondo una serie di criteri utilizzati per stilare la classifica (quanto se ne parla, le citazioni ai combustibili fossili come cause, la voce delle aziende inquinanti, lo spazio alla pubblicità, la trasparenza sui finanziamenti), è stata stilata una classifica dei quotidiani nell’affrontare le tematiche climatiche: Avvenire con 6 punti su 10 risulta al primo posto e “sufficiente”, seguono La Stampa (4,2), Repubblica (3,8), Corriere (3,2) e il Sole 24 Ore (3).

I bassi voti sono spesso condizionati dal rapporto con l’industria del fossile, ritenuta responsabile per via delle emissioni climalteranti, della crisi stessa. “Ben più marcato l’aumento delle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del Pianeta: nel 2023 i cinque quotidiani esaminati hanno infatti ospitato 1.229 inserzioni pubblicitarie (erano 795 nel 2022), accentuando la pericolosa dipendenza della stampa italiana dai finanziamenti fossili”, scrivono da Greenpeace. “Questo è uno degli elementi che spiegano perché si parla sempre meno delle cause del riscaldamento globale (in calo dal 22% al 15% rispetto al 2022) e di combustibili fossili (indicati come causa solo nel 5,5% degli articoli), mentre le compagnie del gas e del petrolio sono indicate come responsabili in appena 14 articoli durante l’intero anno”.

I telegiornali

Nei tg di clima si parla soprattutto quando si verificano eventi estremi, dalle alluvioni alla siccità, che colpiscono direttamente gli italiani, come per esempio le inondazioni in Emilia Romagna, oppure le ondate di calore estive.

“Sia sulla stampa che sui telegiornali di prima serata, i principali momenti di attenzione del 2023 si sono registrati in concomitanza con le alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna, le Marche e la Toscana, durante il caldo record di luglio e in occasione del vertice sul clima di Dubai (Cop28)”.

Anche qui è stata stilata una classifica che vede il Tg5 come il telegiornale che in percentuale ha dedicato più spazio al clima (con il 2,7% delle notizie trasmesse), poi Tg1 e Tg2 e infine “il Tg La7 di Enrico Mentana con appena l’1,6%)”.

Per i telegiornali Rai secondo l’associazione il calo dell’informazione specifica sulla crisi del clima è “sintomo del condizionamento del governo Meloni sulla Rai”.

In media i vari tg hanno parlato esplicitamente di crisi climatica nel 2,3% delle notizie trasmesse (era l’1,9% del 2022) ma quasi mai le compagnie petrolifere sono state indicate “come i responsabili”.

Instagram

L’associazione ambientalista e l’Osservatorio di Pavia hanno rivolto poi lo sguardo anche a chi usa canali come Instagram per informare (soprattutto i più giovani).

In questo caso, fra una ventina di realtà analizzate, le notizie sulla crisi climatica si attestano al 3,2% sul totale dei post pubblicati.

Ma “a differenza dei media tradizionali hanno trovato più spazio gli aspetti ambientali (32%) e sociali (25%) rispetto a quelli politici (21%) ed economici (9%)” fanno sapere da Greenpeace.

Fra i canali che hanno dedicato più attenzione alla crisi del clima ci sono “will_ita (9,6% sul totale dei post pubblicati), torcha (8,1%) e domanieditoriale (7,8%), mentre chiudono la classifica corriere (1,3%), ilfoglio (0,9) e avvenire.it (0,7%)”.

Aumenta il negazionismo

In questo contesto in cui si parla ancora troppo poco di crisi climatica e delle sue cause, “la scarsa attenzione alla crisi sui media italiani si abbina a un altro preoccupante fenomeno”, ovvero il negazionismosi legge nel report”.

Le narrative di resistenza alla transizione energetica trovano sempre più spazio.

Nel 2023 sono state veicolate dal 16% degli articoli dei quotidiani e dal 14% delle notizie dei telegiornali che parlano di clima, e si assiste inoltre a un ritorno del negazionismo climatico di vecchio stampo.

Scetticismo, negazionismo e resistenza alla transizione si riscontrano anche nelle dichiarazioni sulla crisi climatica nei TG, nei quotidiani e su Facebook da parte dei principali leader politici della maggioranza, che più dei leader degli altri schieramenti esprimono dubbi o contrarietà verso la messa in atto di soluzioni per il clima” dichiara Greenpeace.

Allo stesso tempo, citando “l’influenza economica dell’Eni”, Greenpeace – che con ReCommon all’Eni ha fatto causa proprio su questioni climatiche - ricorda come “in Italia non c’è libertà di stampa sul clima, nonostante gli impatti sempre più gravi ed evidenti del riscaldamento del Pianeta”.

Motivo per cui viene chiesto di “rompere questo legame, liberando i media dalla dipendenza dai finanziamenti dell’industria fossile e ridimensionando il potere del settore petrolifero di influenzare la politica italiana, è un’azione necessaria per affrontare la crisi climatica per quel che veramente è: un’emergenza che dobbiamo risolvere al più presto”.

Infine per Federico Spadini, campaigner clima di Greenpeace Italia, «la resistenza alla transizione che troviamo in articoli, servizi di telegiornale e dichiarazioni dei politici altro non è che il riflesso di un complesso patto di potere in cui gli interessi dei media, della politica e del mondo industriale sono indissolubilmente legati, e in cui i soggetti che hanno più potere di condizionare il discorso pubblico sul clima sono proprio i colossi del petrolio e del gas come Eni, maggiormente responsabili della crisi climatica».

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