Diritti

Non chiamiamoli cinesi

Lo facciamo per abitudine e non pensando possa essere offensivo, ma etichettare una professione etnicamente sulla base di chi la svolge lo è eccome e dovremmo smettere di farlo
Credit: Job Savelsberg 
Tempo di lettura 2 min lettura
20 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

Avete ma comprato qualcosa dal “cinese”? O dal “bangla”? Probabilmente si. E quasi sicuramente avete capito immediatamente a cosa mi riferisco e quale tipologia di negozi intendo.

È di uso comune, sicuramente a Roma, ma credo in tutta Italia, scegliere queste espressioni per indicare alcune attività commerciali: “cinese” per un negozio di casalinghi e “bangla” invece un piccolo negozio di generi alimentari. Due parole entrate e oggi radicate nella nostra lingua, come anche “filippina” o “filippino” per indicare una collaboratrice o un collaboratore domestico. Una volta ho sentito una persona che definiva filippina una collaboratrice domestica proveniente dall’Eritrea.

Lo abbiamo sempre fatto, quando ero piccolo si chiamavano “polacchi” i lavavetri che si incontravano ai semafori. Poi la geografia economica delle migrazioni è cambiata e non credo che ci siano più persone provenienti dalla Polonia a svolgere quel lavoro.

Parole sbagliate. Perché nessuna professione andrebbe etichettata etnicamente sulla base di chi la svolge. Perché allora lo facciamo? Perché anche persone molto sensibili al tema dell’inclusione utilizzano queste espressioni?

Lo facciamo perché lo riteniamo inoffensivo e pratico; continuiamo a farlo per una consolidata, brutta, abitudine.

E non smettiamo di farlo perché non sentiamo - empaticamente - quanto possa disturbare un lavoratore, una lavoratrice o un loro figlio o figlia che si sentano definiti in questo modo.

Le parole sono fondamentali. Non bisogna credere a chi sottovaluta l’uso delle parole ritenendolo un ragionamento inutile. La nostra costruzione del mondo viene fatta con i mattoni delle parole.

Riempiamo di asterischi i nostri post per sensibilità e voglia di includere e poi cadiamo su questo! Dobbiamo usare le “parole giuste”, non nel senso di corrette nella forma, ma di portatrici di giustizia.

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