Diritti

Lo sfruttamento sessuale rappresenta il 73% dei profitti illegali del lavoro forzato

I trafficanti e i criminali guadagnano più di 9.000 euro per vittima, secondo il nuovo rapporto Profits and Poverty: the economics of forced labour dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: le entrare economiche sono aumentate del 37% rispetto al 2014
Credit: Vidar Nordli-Mathisen
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
25 marzo 2024 Aggiornato alle 08:00

Il lavoro forzato nell’economia privata genera 218 miliardi di euro di profitti illegali l’anno: il numero che non è mai stato così alto. Di questi, il 73% proviene dallo sfruttamento sessuale a fini commerciali. Lo rivela l’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel nuovo report Profits and Poverty: the economics of forced labour (“Profitti e povertà: l’economia del lavoro forzato”).

Secondo l’Oil, che è l’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale, rispetto al 2014 c’è stato un incremento del 37% dei profitti illegali derivanti dal lavoro forzato: ad alimentarlo, una crescita del numero di persone vittime di questa pratica e il preoccupante aumento dello sfruttamento sessuale. Dieci anni fa, quando l’organizzazione realizzò la prima edizione del rapporto, i profitti erano stimati a 138 miliardi di euro all’anno. La nuova edizione fornisce una nuova stima dei guadagni illegali generati dal lavoro forzato, basandosi sull’edizione del 2014 e sulle stime globali del 2021.

Nel 2021 più di 27 milioni di persone in tutto il mondo sono intrappolate in forme di schiavitù moderna. I maggiori profitti illegali annui derivanti dal lavoro forzato si registrano in Europa e in Asia centrale (34%), seguiti da Asia e Pacifico (28%), Americhe (20%), Africa e Paesi arabi (9%). Se si considerano i profitti per vittima, in cima alla classifica rimangono Europa e Asia centrale, seguite però da Paesi arabi, Americhe, Africa, Asia e Pacifico.

Nel 2021 circa 6,3 milioni di persone si sono trovate in situazioni di sfruttamento sessuale forzato a fini commerciali, secondo il rapporto. Quasi 4 persone su 5 (78%) sono ragazze e donne. I bambini sono 1 su 4 (27%) dei casi totali.

Nonostante lo sfruttamento sessuale riguardi “solo” il 27% di tutte le persone sottoposte al lavoro forzato imposto privatamente, questo tipo di forma di schiavitù è responsabile di più di due terzi del totale dei profitti illegali derivanti dal lavoro forzato. “Questi numeri si spiegano con l’enorme differenza di profitti per vittima tra lo sfruttamento sessuale commerciale forzato e lo sfruttamento del lavoro forzato: 27.252 dollari per vittima per il primo (circa 25.000 euro, ndr) contro i 3.687 dollari per vittima (oltre 3300 euro, ndr) per il secondo”, spiega il rapporto. In media, comunque, si stima che i trafficanti e i criminali guadagnino più di 9.000 euro per vittima, rispetto ai 7.500 euro (al netto dell’inflazione) di 10 anni fa.

Questi profitti elevati “sono il riflesso della quota estremamente limitata di guadagno che arriva alle vittime, la maggior parte delle quali sono donne e ragazze”, sottolinea il rapporto. Secondo il Global Sex Trafficking Metrics nella maggior parte dei casi le persone sottoposte a sfruttamento sessuale commerciale forzato vengono pagate pochissimo o per niente. Tra le forme di coercizione, la più comune è la trattenuta deliberata e sistematica del salario (36%), seguita dalla minaccia di licenziamento (21%). Forme più gravi di coercizione, tra cui il confinamento forzato, la violenza fisica e sessuale e la privazione dei bisogni primari, sono “meno comuni ma non per questo trascurabili”.

Spesso le vittime non vengono pagate perché devono saldare un debito con il trafficante, apparentemente contratto a causa della tratta. Le detrazioni per cibo, vestiti, affitto, alcolici o interessi esorbitanti sono tra gli altri pretesti usati dai trafficanti per non pagare le vittime. Il fatto che lo sfruttamento sessuale commerciale sia illegale nella maggior parte dei Paesi fornisce alle vittime un ricorso limitato o nullo alla giustizia.

Dopo lo sfruttamento sessuale commerciale forzato, il settore con i maggiori profitti annuali illegali derivanti dal lavoro forzato è quello industriale, seguito dai servizi, dall’agricoltura e dal lavoro domestico. Tutti i profitti illegali che rimangono nelle mani degli sfruttatori “sono i salari che appartengono di diritto alle tasche dei lavoratori”, ribadisce l’Oil.

«Il lavoro forzato perpetua i cicli di povertà e sfruttamento e colpisce al cuore la dignità umana. Ora sappiamo che la situazione è solo peggiorata», ha dichiarato Gilbert F. Houngbo, Direttore generale dell’organizzazione. Nel 2021 erano 27,6 milioni le persone impegnate nel lavoro forzato in un giorno qualsiasi, ovvero 3,5 persone ogni 1.000 abitanti del mondo. Tra il 2016 e il 2021 il numero di persone costrette al lavoro forzato è aumentato di 2,7 milioni. «La comunità internazionale deve unirsi urgentemente per agire per porre fine a questa ingiustizia, salvaguardare i diritti dei lavoratori e sostenere i principi di equità e uguaglianza per tutti», ha aggiunto Houngbo.

Ma come arginare i flussi di profitto illegali e individuare i responsabili? Il rapporto raccomanda “di rafforzare i quadri giuridici, di fornire formazione ai funzionari addetti all’applicazione della legge, di estendere l’ispezione del lavoro ai settori ad alto rischio e di migliorare il coordinamento tra l’applicazione della legge sul lavoro e quella penale”. Le misure di contrasto, però, non bastano: “Devono essere parte di un approccio globale che dia priorità alla risoluzione delle cause profonde e alla tutela delle vittime”, sottolinea il rapporto.

A fornire un quadro strategico per un’azione globale, ci sono il Protocollo del 2014 alla Convenzione sul lavoro forzato del 1930, che stabilisce per tutti gli Stati membri alcuni obblighi per prevenire il ricorso la pratica e contrastare la tratta degli esseri umani, e la Raccomandazione sul lavoro forzato (misure supplementari) del 2014 (n. 203).

Leggi anche
Diritti umani
di Chiara Manetti 3 min lettura
Diritti umani
di Costanza Giannelli 7 min lettura