Diritti

La schiavitù moderna è invisibile

Lavori forzati, sfruttamento di donne e bambini, matrimoni precoci: la maggior parte dei Paesi (tanto i ricchi quanto i meno abbienti) ne sono interessati. Anche se noi non vediamo nulla di tutto ciò
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Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
1 maggio 2023 Aggiornato alle 17:00

Nel nostro immaginario la parola “schiavitù” evoca navi, piantagioni di cotone, catene. Celebriamo la sua abolizione e le leggi che la vietano, eppure la schiavitù non è mai andata via. È cambiata per adattarsi ai tempi, ma è sempre qui, più vicina di quanto possiamo pensare. Si chiama “schiavitù moderna” ed è tutta intorno a noi, anche se non la vediamo, o non vogliamo vederla.

Secondo il rapporto Global Estimates of Modern Slavery, nel 2021 quasi 50 milioni di persone erano in stato di schiavitù in tutto il mondo (circa 1 su 150): più della popolazione di Paesi come la Spagna o l’Argentina. A essere preoccupante non è solo il numero, ma la velocità con cui stanno crescendo: rispetto alle stime del 2016, 2 anni fa gli schiavi erano 10 milioni in più.

Dati sottostimati, che non catturano tutte le forme di schiavitù moderna (come il traffico di organi) o che non riescono a dare la misura esatta di fenomeni come il lavoro minorile e i matrimoni precoci.

Il volto moderno della schiavitù

Schiavitù moderna” è un termine ombrello che abbraccia diverse situazioni, dove gli individui non possono andarsene a causa di minacce, violenza, coercizione o abuso di potere: non solo il lavoro forzato, quindi, ma una serie di pratiche di sfruttamento che riducono di fatto le vittime in condizioni di schiavitù.

“Ciò che accomuna tutti questi abusi - ha spiegato Grace Forrest, direttrice e fondatrice dell’organizzazione antischiavista Walk Free, è - la rimozione sistematica della libertà di una persona, dove una persona è sfruttata da un’altra o da una società per guadagno personale o finanziario”. Donne, migranti e bambini sono i più vulnerabili.

È il settore privato quello in cui si riscontra la grande maggioranza del lavoro forzato (86%). Lo sfruttamento sessuale commerciale forzato rappresenta il 23% (quasi 4 vittime su 5 sono donne o ragazze) e coinvolge oltre 1,5 milioni di bambini.

La forma più comune di sfruttamento è il lavoro per riparare i debiti, che colpisce circa 27,6 milioni di persone in tutto il mondo. Segue il lavoro minorile, compreso il reclutamento illegale di bambini soldato, che colpisce almeno 12,5 milioni di minori.

Ma dietro il termine “schiavitù moderna” si nascondono anche altre realtà, meno note ma altrettanto drammatiche, come la servitù domestica (che si verifica quando alle persone assunte per svolgere lavori domestici vengono confiscati i documenti per impedire loro di scappare) e i matrimoni forzati. Nel 2021, le persone coinvolte in un matrimonio forzato erano almeno 22 milioni, 6,6 milioni in più rispetto al 2016.

Le stime di questo fenomeno, che coinvolge in particolare bambini di età pari o inferiore a 16 anni, sono probabilmente molto più basse della realtà: si basano, infatti, su una definizione ristretta e non includono tutti i matrimoni precoci, che devono invece essere considerati forzati poiché i bambini non possono dare il proprio consenso.

Se pensi che sia un fenomeno dei Paesi “arretrati” o “del terzo mondo”, ti sbagli. Tutti i Paesi del mondo sono interessati, senza eccezioni etniche, culturali e religiose. Più della metà (52%) di tutto il lavoro e un quarto di tutti i matrimoni forzati sono in Paesi a reddito medio-alto o ad alto reddito.

Il vero problema della schiavitù moderna, ha spiegato Sophie Otiende, Chief Executive Officer del Global Fund to End Modern Slavery, è che di moderno non ha niente ma che, anzi, riproduce lo stesso modello di sfruttamento che affonda le radici tra chi “ha” e chi “non ha”, quindi nella disuguaglianza (che è invisibile).

Le stime dicono che tra i 10 e i 12 milioni di africani furono ridotti in schiavitù come parte della tratta transatlantica: oggi gli schiavi sono 5 volte di più che quelli coinvolti nella tratta stessa, eppure non li vediamo.

“La realtà è che in questo momento le persone non vengono trattenute in catene, quindi non è facile vederli. Queste persone sono quelle che ti servono negli hotel. Sono persone che ti stanno servendo in casa. Di nuovo, non si vede perché in questo momento, le catene non ci sono. Non sono lì per ricordarci che stiamo sfruttando le persone. È anche invisibile perché è conveniente”.

Cosa non vogliamo vedere

Eppure, basterebbe guardare per vedere: “Guarda i vestiti che indossi. Guarda il cibo che stai mangiando - continua Otiende - Nessuno di noi fa queste domande perché, non appena ciò comporta un lieve inconveniente per la nostra vita personale, non appena significa che dovrò pagare uno scellino in più per il cibo sulla mia tavola, le persone non hanno problemi con i diritti umani fintanto che non li disturba personalmente”.

Così ci limitiamo a dire che “in quelle culture è normale”, senza voler vedere che anche siamo noi e lo stile di vita che vogliamo strenuamente mantenere ad alimentare il ciclo letale della schiavitù moderna.

Non ci credi? ChatGPT, con i suoi 13 milioni di utenti giornalieri, è stato sviluppato appaltando lavori disumanizzanti a imprese Keniote che pagano tra gli 1,32 e i 2 dollari l’ora: lo sfruttamento dei lavoratori nel mondo dell’intelligenza artificiale è decisamente reale. Ma anche le supply chain di fast fashion che riempiono le nostre vetrine e i nostri armadi non sono solo una enorme fonte di rifiuti, ma anche un laboratorio di sfruttamento e schiavitù.

Conosciamo le condizioni dei lavoratori sfruttati dal caporalato che portano sulle nostre tavole il cibo che mangiamo, ma non vogliamo vederlo, come ci tappiamo le orecchie per non sentire che nel 2019, alcuni bambini in età scolare sono stati costretti a lavorare durante la notte presso Foxconn, un fornitore di Amazon, in Cina per raggiungere gli obiettivi di produzione dei dispositivi Alexa. O che i rider e driver che soddisfano le nostre voglie a ogni ora del giorno e della notte in molti casi non hanno alcun controllo o libertà sui loro diritti fondamentali e vengono costantemente sorvegliati per assicurare il massimo delle performance, anche a rischio della loro sicurezza personale e, a volte, della loro stessa vita.

Il rischio, ha spiegato Forrest, è che anche la transizione verde venga fatta sulle spalle degli schiavi moderni: “Quando guardiamo al contesto di una transizione verde in questa crisi climatica che stiamo vivendo, abbiamo una grande paura che lo sfruttamento venga recimentato nella green economy attraverso filiere di batterie, catene di approvvigionamento di pannelli solari e turbine eoliche, che in questo momento, se non vengono presi provvedimenti urgenti, saranno costruiti con il lavoro forzato e minorile in tutto il mondo”.

Già oggi un terzo della fornitura mondiale di cobalto, fondamentale per i veicoli elettrici, proviene da miniere associate a condizioni di lavoro pericolose e abusi sul lavoro.

Se le leggi non bastano

Secondo una ricerca del 2020 (riportata da The Conversation) non è vero, come ci sentiamo ripetere da decenni “che la schiavitù è illegale in tutto il mondo”: certo, la proprietà legale delle persone è stata abolita in tutti i Paesi nel corso degli ultimi 2 secoli, ma in molti di questi non è stato criminalizzata.

“In quasi la metà dei Paesi del mondo non esiste un diritto che penalizzi né la schiavitù né la tratta degli schiavi. In 94 Paesi, non puoi essere perseguito e punito in un tribunale penale per aver ridotto in schiavitù un altro essere umano”. È se è vero che ci sono stati dei tentativi di introdurre leggi contro la schiavitù moderna, solo 24 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite hanno disposizioni che affrontano ogni forma di sfruttamento e solo 5 hanno norme penali che affrontano ciascuno dei 5 strumenti internazionali contro lo sfruttamento umano. Solo 2 Stati al mondo hanno disposizioni penali per tutte le pratiche di schiavitù.

Ma il problema più urgente è che anche quando le leggi ci sono non funzionano. “Gli sforzi del Regno Unito per affrontare la schiavitù moderna stanno diminuendo” titolava il Guardian poche settimane fa, spiegando che “il numero di aziende che rivelano misure anti-schiavitù all’interno delle catene di approvvigionamento è quasi dimezzato, secondo le analisi del Chartered Institute of Procurement and Supply (Cips)”.

Ma anche nell’altro emisfero le cose non vanno meglio: “La legge australiana sulla schiavitù moderna non funziona”, spiegava a novembre Aljazeera riportando i risultati dell’indagine condotta da diversi gruppi per i diritti umani a 4 anni dall’introduzione di una nuova normativa.

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