Ambiente

Di cosa parliamo quando parliamo di acqua

H2O, risorsa, vita oppure arma di guerra, bene pubblico o privato? Riflettere sul valore dell’acqua è fondamentale, soprattutto per liberarla dalle modalità di controllo e restituirla come bene comune
Credit: Scott Webb  

Tempo di lettura 6 min lettura
22 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

La percezione che abbiamo dell’acqua scivola lungo un asse senza soluzione di continuità, incastrato tra la mistica e la merce.

L’acqua è quello che ce ne facciamo o il nome che le diamo?

L’acqua è tutte queste cose insieme perché è investita di un forte significato culturale.

Prendiamo la giornata mondiale dell’acqua, il World Water Day, che ha la mia età, ed è stata istituita dalle Nazioni Unite per indurre cooperazione e riflessione sull’uso e sull’accesso all’acqua.

Nel mondo in cui scrivo ora 2,2 miliardi di persone vivono senza un accesso sicuro all’acqua, 115 milioni bevono acqua di superficie - non di fonte, non di sorgente, non sicura e non trattata - e metà della popolazione del Pianeta esperisce, almeno in un periodo dell’anno, scarsità idrica.

In questo mondo l’accesso ad acqua sicura, il più delle volte è un lusso.

Il problema è che l’acqua è prima di tutto pensata come una risorsa, qualcosa da possedere o accumulare, da amministrare.

Questa volontà si incrocia con quelle di controllo del sistema degli Stati che opera riconoscendo a ogni stato il controllo sul territorio su cui - in teoria - è sovrano.

Dunque, non sorprende che continuando a scorrere il sito dell’Onu le acque dette transfrontaliere - perché l’acqua non smette di scorrere là dove sono stati stabiliti confini - costituiscono circa il 60% dei flussi di acqua dolce presenti sulla superficie della Terra.

Dunque, un bel problema, perché se l’acqua è una risorsa da amministrare, perché ciò avvenga in maniera positiva per la pluralità di territori coinvolti è necessaria cooperazione.

Una cooperazione reale, paritaria, la cui priorità è garantire accesso continuo e sicuro all’acqua potabile. E invece, non va così.

L’acqua è una risorsa, ma in un mondo di merci questo termine è sinonimo di bene. Bene pubblico, amministrato da uno Stato per l’interesse del medesimo Stato - e qui sarebbe da valutare se questo interesse coincide con il benessere della popolazione - oppure bene privato, la cui fruizione è subordinata alla possibilità di pagare per essa.

L’acqua come bene rappresenta un problema a tutti gli effetti e non solo a livello locale, ma anche regionale e globale.

Per l’acqua si combattono e si combatteranno guerre, il cui scopo sarà assicurare il controllo su una determinata fonte a uno Stato o a una coalizione di Stati.

Le irrequietezze geopolitiche, la corsa all’oro blu, si impenneranno all’aumentare della temperatura media globale. Questo perché la crisi climatica è il prodotto di un’accumulo di gas climalteranti che sono intervenuti, e continuano a intervenire, direttamente sul ciclo idrogeologico del Pianeta, modificando gli equilibri nel ciclo dell’acqua.

In parole povere, l’acqua scarseggia e continuerà a farlo. Qualche scettico si premura di indicare gli eventi atmosferici improvvisi come controprova che, invece, l’acqua c’è.

Le piogge concentrate e improvvise, fuori stagione, però, sono un getto d’acqua non assorbibile sia dai terreni sia dagli spazi naturali di accumulo, che straripano e non caso.

Nel mentre, questi eventi disastrosi sono intervallati da prolungati periodi di siccità che riducono la presenza stessa dell’acqua, essiccano terreni e intaccano i meccanismi di sopravvivenza umana e non umana.

In un clima del genere, non sorprende che stati e multinazionali competano per il controllo dell’acqua.

Il principio è il medesimo per il grano, chi controlla le esportazioni di grano ha un notevole potere internazionale, chi controlla l’acqua, beh, ha un potere assoluto.

L’acqua come bene pubblico, al servizio di un interesse statale è un problema, come pure l’acqua come bene privato, concentrato e accumulato da attori che la rivendono in bottiglia o che ne sprecano tonnellate.

Basti pensare a Coca Cola che per ogni litro di bevanda impiega 1,8 litri di acqua. La parte rimanente si perde nel processo.

Residuo, scarto, sottoprodotto, ma a essere onesti è solo spreco. Spreco di una risorsa finita, minacciata dall’attuale stato delle cose.

Uno spreco che è presente in ogni settore industriale.

Pensiamo al turismo, che da solo assorbe l’1% dell’acqua potabile globale, con un flusso medio di circa 82-2000 litri per turista, circa 3423 litri al giorno per stanza, stando ai dati del Global Water Forum e ricordando che questa è una media, che in alcuni Paesi come Malta il turismo assorbe il 7,3% del consumo nazionale di acqua e che un hotel con campo da golf consuma 1 milione di metri cubi d’acqua all’anno.

Si potrebbe opinare che, dopotutto, l’1% è davvero poco, ma lo si potrebbe fare solo non tenendo conto del fatto che il turismo è un lusso, calcolato nei 1,3 miliardi di arrivi registrati nel 2023, e, soprattutto, non considerando i flussi virtuali di acqua, ovvero l’acqua sprecata che non viene calcolata, che sparisce nei trasporti e nella produzione della merce turistica, sia questa hotel, pacchetti viaggio, costumi da bagno o importazione alimentare.

O ancora, pensiamo al settore agroalimentare che assorbe il 70% del consumo di acqua.

Consumo che viene largamente assorbito da due parti dell’industria che rientrano nella produzione zootecnica la quale assorbe una cosa come il 10% delle risorse idriche globali.

Nel mentre la produzione agricola viene continuamente erosa dalla produzione di mangime per animali destinati a morire per diventare un prodotto alimentare - progressivamente sempre meno nutriente - per soddisfare una domanda indotta da una sovrapproduzione, costruita su sprechi idrici, inseminazioni artificiali, sfruttamento umano e non umano, torture e uccisioni che, di fatto arricchisce poche, pochissime persone. Nel mentre l’industria dello sfruttamento animale non fa che aggiungere gas serra nell’atmosfera.

L’industria fossile non è da meno, con il suo accumulo di gas serra e la sua capacità di inquinare fisicamente i corsi d’acqua rendendoli velenosi.

Per non parlare dell’esorbitante consumo di acqua necessario all’estrazione e al raffinamento dei combustibili. E potremmo andare avanti all’infinito chiamando in causa le industrie più inquinanti, più drenanti, per poi arrivare al punto di partenza che ci pone di fronte a come l’acqua viene usata e perché.

Al momento, sia essa bene pubblico o bene privata, viene usata come leva di potere e come strumento di arricchimento. Viene sottratta ai molti per il vantaggio di pochi. L’acqua è un elemento essenziale alla vita, sia questa umana e non umana, e per tanto dovrebbe essere sempre e solo acqua comune. Bene comune, se proprio vogliamo dare un’inquadratura giuridica.

L’acqua non può essere di proprietà, deve fluire ed essere tutelata, al di là delle sovranità nazionali o degli acquisti aziendali, delle concessioni e degli usi industriali. L’acqua è, dovrebbe essere, di tutt3.

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