Ambiente

Ostilità elettive

Le richieste degli agricoltori europei contro le politiche verdi sembrano aver portato la Commissione a fare molti passi indietro. Secondo gli osservatori, è frutto di un calcolo elettorale. Ma potrebbe essere un conto sbagliato
Credit: EPA/ENNIO LEANZA 
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14 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

L’agricoltura potrebbe essere il settore verde per eccellenza. Ma gli agricoltori non sono d’accordo. E sembra che siano riusciti a fermare la policy europea per la transizione verde che, per esempio, prevedeva che una parte dei terreni fosse dedicata a salvaguardare la biodiversità. Gli scienziati avvertono che questo sarà un disastro per l’emergenza climatica.

Le elezioni del Parlamento europeo si avvicinano. E nella competizione elettorale, a quanto pare, i partiti scelgono le politiche meno lungimiranti ma dirette alla ricerca del consenso immediato. Le indiscrezioni che i politici europei hanno lasciato trapelare in questi giorni su diversi organi di stampa sono concordi nel mostrare come le misure per modernizzare l’agricoltura e guidarla verso una transizione verde si siano impantanate per le incertezze dei partiti di maggioranza, preoccupati che le proteste degli agricoltori aiutino i partiti anti-europeisti.

Ma gli scienziati non sono d’accordo. La European Environment Agency (Eea) ha pubblicato un rapporto con dati che dovrebbero fare riflettere. Le ondate di calore, l’erosione delle coste, la siccità che potrebbe desertificare vaste aree del sud Europa, i fenomeni estremi, previsti dalla Eea se non si cambia presto strada e se non si riforma l’agricoltura, nella seconda metà del secolo progressivamente arriveranno a costare mille miliardi di euro l’anno e centinaia di migliaia di vite. Leena Ylä-Mononen, direttrice della Eea, prevede anche che le decisioni giuste saranno rimandate a dopo le elezioni. Ma si aspetta che il nuovo Parlamento e la nuova Commissione si dovranno occupare seriamente di questa questione importante e ormai anche urgente.

Messo in questi termini, il calcolo elettorale è quasi ovvio. Ma è anche corretto?

Se si considera che dare ragione agli agricoltori può scontentare radicalmente gli scienziati, gli strateghi del “mercato elettorale” dovrebbero andare anche oltre l’ovvio. Per esempio tenendo presente che, da molti decenni, il numero di scienziati aumenta e quello degli agricoltori diminuisce. E a questo punto i numeri che servono a prevedere il consenso elettorale non sono più tanto semplici da interpretare.

Gli agricoltori europei sono 8,6 milioni in Europa, il 4,2% degli occupati. Circa il 37,4% degli agricoltori Ue sono in Polonia e Romania, secondo le statistiche ufficiali della Commissione Europea. Evidentemente la concentrazione di agricoltori negli altri Paesi è ancora più bassa.

Le statistiche sugli agricoltori sono piuttosto concordi anche perché i sussidi che ricevono hanno una storia lunga. Le statistiche sugli scienziati sono meno facili da comprendere. Ma fanno pensare che forse il calcolo elettorale dovrebbe essere rivisto.

Le persone impiegate in scienza e tecnologia in Europa sono 117,2 milioni, 49,8 milioni hanno un’educazione specializzata in materie tecno-scientifiche, secondo dati Eurostat riferiti al 2021. I lavoratori con posizioni di ricercatori e ingegneri sono 17,8 milioni. Insomma, le persone che possono leggere con competenza i dati allarmanti sull’emergenza climatica e possono comprendere quale politica sia quella razionale in materia sono potenzialmente molto più numerose degli agricoltori. Il problema è che non sono aggregate da nessuna forza politica, non scendono in piazza a protestare armate di provette e computer, sono abituate, come Leena Ylä-Mononen, ad aspettare che le cortine fumogene delle competizioni elettorali si tolgano di mezzo per spingere i politici nella direzione razionale.

Ma c’è qualcosa di più. Lo stile delle competizioni elettorali di oggi è dettato dal radicalismo e dalla banalità delle istanze, con un’aggressività che pone gli uni contro gli altri in modo ben poco orientato al dialogo costruttivo. Questo fa bene ai politici che non hanno molto da dire ma lo dicono a voce molto alta. I politici che hanno un’idea articolata del futuro sono spesso attaccati quando lasciano che le loro policy appaiano come l’espressione di un potere contro una categoria specifica.

Intanto, gli allarmismi eccessivi, allontanano una buona parte del pubblico che rimuove il problema quando non vede una soluzione. Ma a questo punto tutto questo dovrebbe essere stato compreso e dovrebbe condurre a nuove progettualità politiche.

Le politiche per la transizione verde non dovrebbero essere presentate come punitive. Mai. Nella migliore delle ipotesi dovrebbero dare una sorta di via d’uscita positiva per tutte le categorie in gioco. Per gli agricoltori, per esempio, i problemi non sono soltanto legati alla riduzione dell’area coltivabile richiesta per favorire la biodiversità. I problemi sono i costi crescenti degli input della produzione, la quantità del valore aggiunto che viene loro sottratto dai modelli prevalenti della distribuzione commerciale, la difficoltà a connettere ai loro modelli di business le innovazioni che vengono dalla genetica o dall’integrazione dell’agricoltura con la produzione di energia da fonti rinnovabili, e così via.

Politiche per la modernizzazione dell’agricoltura che servono alla biodiversità possono essere integrate in politiche di redistribuzione del valore aggiunto e di incentivazione per l’innovazione, per convincere gli agricoltori a trasformarsi da strumento dei politici più violenti in sostenitori di un nuovo modello di sviluppo. Le politiche anti-sistema frammentano la società in piccoli gruppi in lotta tra loro. Le politiche costruttive e lungimiranti aggregano le categorie e propongono soluzioni integrate, che rendono compatibili le diverse esigenze, unendo invece di dividere. Non è certo una strategia nuova, ma sembra sia una strategia dimenticata.

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