Ambiente

Greenpeace: “Non c’è libertà di stampa sulla crisi climatica”

Dal report elaborato con l’Osservatorio di Pavia emerge l’aumento della pubblicità delle aziende inquinanti e il calo nel racconto del cambiamento climatico
Credit: Daksh Rajora 

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12 marzo 2024 Aggiornato alle 12:00

Della crisi climatica sui media italiani si parla poco, male e senza libertà.

Se da un lato “cresce l’influenza della politica e delle aziende inquinanti” attraverso la pubblicità sulla stampa e aumentano le narrative che oppongono resistenza alla transizione energetica nei telegiornali, dall’altro si registra un calo generale nel racconto del climate change e di temi analoghi.

Lo dicono i dati degli ultimi quattro mesi del 2023 sulla comunicazione della crisi climatica fatta dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai tg delle reti Rai, Mediaset e La7 e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram, secondo il nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, un istituto di ricerca specializzato.

Nell’ambito di un quadro sconfortante il documento, pubblicato oggi, mette nero su bianco proprio il fatto che all’interno dei telegiornali serali, segnati dall’influenza del governo Meloni sulla Rai, rispetto alla precedente rilevazione raddoppia lo spazio per chi si oppone alla transizione ecologica, passando dal 9,7% al 18,4%.

In questo contesto il TG5 e Studio Aperto diventano i telegiornali che hanno dato più spazio al riscaldamento del pianeta, con il 2,5% e il 2,4% sul totale delle notizie trasmesse, mentre per la prima volta il TG1 scivola all’ultimo posto della classifica insieme al TG4 e al TG La7, con appena l’1,8%.

«La resistenza del governo italiano alla transizione energetica è ancora più evidente nel monitoraggio dei discorsi dei principali leader politici, in cui si riscontrano posizioni ambigue, se non addirittura contrarie, alle azioni per il clima», ha affermato Federico Spadini, campaigner clima di Greenpeace Italia, «Il governo Meloni nasconde lo scarso interesse per la lotta alla crisi climatica invocando un presunto pragmatismo delle proprie politiche, che garantirebbero la sostenibilità e la coesione sociale del Paese, ma è proprio questo approccio a essere il meno pragmatico: sminuendo il problema e posticipando le soluzioni non si fa altro che mantenere uno status quo che ci porterà a pagare un conto insostenibile, in termini di danni ambientali, perdite economiche e impatti sulla vita delle persone».

Tra settembre e dicembre, i principali quotidiani italiani hanno pubblicato in media 2,9 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica, ma i servizi realmente dedicati al problema sono meno della metà.

Si tratta di una diminuzione rispetto al quadrimestre precedente, quando l’alluvione in Emilia-Romagna e le ondate di calore estive avevano elevato la copertura, a conferma della natura saltuaria ed emergenziale che caratterizza il racconto mediatico del riscaldamento globale.

Analizzando lo stesso arco di tempo, il report parla poi dei livelli record raggiunti dalla “dipendenza della stampa italiana dalle pubblicità delle aziende più inquinanti” - compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche -, con un’inserzione pubblicitaria al giorno.

La sola eccezione virtuosa è rappresentata da Avvenire, non a caso l’unico quotidiano a ottenere la sufficienza con 6 punti su 10 nella classifica di Greenpeace. Migliora La Stampa (3,6 punti) mentre crollano le tre principali testate italiane: Il Sole 24 Ore (3,2 punti), Repubblica (3,0) e Corriere (2,4).

«Con le vendite dei quotidiani ai minimi storici, la stampa italiana è sempre più dipendente dai finanziamenti delle aziende inquinanti. Un ricatto che investe anche telegiornali e programmi televisivi, dove ormai si fanno i salti mortali per evitare anche solo di nominare le responsabilità delle fonti fossili e dell’industria del gas e del petrolio», dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia, «Oltre a mettere in pericolo il clima del pianeta e le nostre vite, Eni e le altre compagnie dei combustibili fossili impediscono un’informazione libera e indipendente su cui si basa la democrazia».

Per quanto concerne infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i giovani, le notizie sulla crisi climatica scendono dal 4,1% al 2,6% sul totale dei post pubblicati. Hanno trovato maggiore spazio gli aspetti politici (29%) e sociali (27%) rispetto a quelli ambientali (22%) ed economici (9%).

Tra i soggetti citati o intervistati prevalgono gli esperti scientifici e le associazioni ambientaliste (17% ciascuno), che superano aziende ed esponenti dell’imprenditoria (13%). Hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica tpi (9% sul totale dei post pubblicati), torcha (8%) e factanza (7,5%), mentre chiudono la classifica larepubblica (0,8%) e laveritaweb (0,8%).

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