Economia

Perché i Paesi ricchi dipendono dalla manodopera straniera?

I migranti rappresentano una parte rilevante della forza lavoro nelle Nazioni più sviluppate, dove l’età media della popolazione continua a salire. Tuttavia, gli economisti si interrogano sulle possibili conseguenze, tra cui: orari massacranti e salari inadeguati
Credit: Pixabay 
Tempo di lettura 3 min lettura
12 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

Sempre più migranti lasciano il proprio Paese d’origine per sfuggire a povertà e guerre e cercare opportunità di vita e di lavoro più dignitose negli Stati “ricchi”; tra questi, anche l’Italia, che nel 2022 ha toccato quasi quota 6 milioni, di cui circa 2,3 occupati professionalmente.

Questo fenomeno starebbe generando, secondo alcuni economisti, una dipendenza crescente da parte dei Paesi più ricchi dalla manodopera straniera. Una realtà che, tuttavia, necessita di essere analizzata sotto più punti di vista.

Il primo fattore da considerare riguarda la crisi sociale e demografica in atto nelle Nazioni più sviluppate. Mentre la popolazione mondiale è sempre più vecchia, il numero di figli all’interno delle famiglie continua a diminuire e la forza lavoro si riduce costantemente, creando uno sbilanciamento tra le entrate e le uscite economiche dei vari Paesi.

Diversa è la situazione nel Sud del mondo dove, nonostante il tasso di fertilità registri trend in discesa, la media di figli per donna rimane piuttosto alta. Solo per fare un esempio: l’Africa Subsahariana nel 1990 registrava un valore pari a 6,3, mentre nel 2020 a 4,3, comunque ben al di sopra della media mondiale di 2,1 figli per donna. Invece negli Stati Uniti nel 2020 le cittadine in media avevano meno di 2 figli, mentre in Italia la media si attestava a 1,2.

In questo contesto, la manodopera straniera potrebbe diventare un elemento prezioso non solo per le imprese, ma per l’intero tessuto economico mondiale. Infatti, mentre diminuiscono i cittadini in età lavorativa nei Paesi più ricchi, aumentano le persone straniere nella stessa fascia anagrafica: nel 2021 in Australia hanno superato il 30%, mentre la Germania è passata dal 15% a oltre il 20% nell’arco di un solo anno.

A preoccupare gli economisti, però, sono alcune delle possibili conseguenze che si potrebbero verificare. In primis il rischio è quello di incentivare l’assunzione di figure non specializzate e, soprattutto, di sfruttare le necessità delle persone di avere un lavoro con orari massacranti, condizioni inadeguate e salari insufficienti.

L’altro lato della medaglia, però, ci evidenzia come il lavoro sia un fondamentale strumento di integrazione e possa, con le giuste tutele e le adeguate retribuzioni, rappresentare un’opportunità immensa per gli immigrati e per le economie dei Paesi ricchi. Per esempio, negli Stati Unti i cittadini stranieri rappresentano il 18,6% della forza lavoro e sono assunti in ruoli chiave per l’economia.

Secondo lo US Census Bureau, l’immigrazione per gli States è indispensabile: se all’improvviso si azzerasse, nel giro di un anno la popolazione subirebbe una fortissima riduzione, causando danni all’economia dell’intero Paese.

Che dunque l’immigrazione rappresenti una risposta ai problemi demografici che pesano sulle economie dei Paesi più ricchi? Forse. Indubbiamente, però, un’eccessiva dipendenza verso la manodopera straniera potrebbe, senza le giuste regolamentazioni, causare squilibri nel mondo del lavoro andando a peggiorare una realtà già piuttosto fragile.

Leggi anche
Lavoro
di Claudia Gioacchini 3 min lettura