Diritti

Effatà! Apriti!

Ci sono scuole in Italia dove i bambini udenti studiano insieme ai sordi, e comunicano tramite la Lis, imparando non solo la lingua dei segni ma anche quella dell’inclusione
Credit: Katerina Holmes 
Tempo di lettura 4 min lettura
9 marzo 2024 Aggiornato alle 06:30

Marco racconta che, un giorno, mentre Gesù stava camminando lungo le strade per la Galilea, un gruppo di persone gli portò un sordo, pregandolo di guarirlo. Gesù lo prese in disparte, lo toccò e disse una parola in aramaico: «Effatà», cioè: «Apriti!» Il sordo guarì, iniziò immediatamente a sentire e a parlare. Gesù ordinò di non dire nulla a nessuno, ma più comandava di tacere, più la gente ne parlava pubblicamente.

Mio figlio Francesco ha sette anni e frequenta una scuola anche per bambini sordi: l’Istituto Paritario Smaldone di Roma.

Le scuole smaldoniane sono presenti in tutto il mondo, in Italia (soprattutto al sud) sono circa quindici, tra asili nido, scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado.

Scuole nate su impulso di San Filippo Smaldone, un sacerdote napoletano venuto al mondo nella metà dell’800, giudicato scarso negli studi e privo di talento, che decise di dedicare la sua vita in particolare ai sordi. Filippo era convinto che: «non si può educare se non si am, da qui l’elemento portante del suo carisma: la pedagogia dell’amore. Tendere a educare, insegnare e correggere con amore, a modulare l’azione educativa per ogni alunna e alunno.

Francesco è udente, come la maggior parte dei suoi compagni di classe, ma non tutti. Da quando frequenta questa scuola, sta imparando la Lis (Lingua Italiana dei Segni) perché la maestra la usa per comunicare con tutti e c’è sempre un interprete Lis in classe con loro. Lo Smaldone non è solo questo, ma è soprattutto questo: un mondo di amore educante che ricorda di continuo l’uguaglianza è la libertà di essere ciascuno diverso, cioè ciascuno sé stesso.

Così, il primo giorno è tornato a casa, contento di aver ricevuto da alcuni compagni di classe sordi un “segno nome”.

I sordi utilizzano per il nome proprio un segno che viene scelto insieme alla persona che ti insegna per prima la Lis. Questo segno non è universalmente riconosciuto. I nomi propri vengono trasferiti sempre usando la dattilologia (l’alfabeto Lis che prevede un segno per ciascuna lettera). Avere un segno nome aiuta - con chi lo conosce - a risparmiare tempo ed energia (per capirne l’utilità, pensate se, da udenti, ogni volta che doveste dire il nome di qualcuno foste costretti a fare lo spelling).

Il segno nome Lis racconta di te, dice cosa colpisce dell’altro, lo porti dietro per sempre e aiuta chi parla di te nella cerchia delle persone che ti conoscono. Il segno nome di Francesco è “sorriso”. Quando è tornato a casa, mentre ce lo mostrava e raccontava sorrideva e spero che lo faccia sempre quando - anche da grande - si confronterà con la diversità e le novità. Sarebbe bello se ciascuna e ciascuno di noi avesse un segno nome.

Io ho provato a imparare la Lingua Italiana dei Segni due anni fa, prima che Francesco si iscrivesse allo Smaldone. Lingua Italiana perché diversa di paese in paese e ha anche dei dialetti locali.

Ho capito - tardi - che la superficialità è il primo grande nemico dell’inclusione. I sordi esprimono una cultura di cui la Lis è una delle sue manifestazioni principali. Questa cultura può contenere alcuni aspetti che possono rendere più difficile l’integrazione.

Nella Lis, a esempio, l’accento forte che viene posto sulle espressioni facciali (necessarie per comunicare) può mettere in difficoltà un udente, perché le emozioni che vengono veicolate dal viso sono su scale e toni emozionali diversi da quelli a cui siamo abituati.

I sordi, ovviamente, “indicano” molto. La parola “tu” è un indice diretto e forte verso l’interlocutore. Per un udente è un segnale emozionale diverso, noi siamo abituati a essere indicati in quel modo solo quando accusati di qualcosa e siamo cresciuti con qualcuno che ci diceva sempre: «Non si indica!».

Oppure, i sordi, per attirare l’attenzione degli udenti, possono toccare gli altri o produrre dei rumori battendo la mano, per esempio, su un tavolo. Comportamenti insoliti per un udente, spesso considerati “non educati”.

E allora, cosa fare? Effatà! Apriamoci con amore all’altro e all’inatteso. Abbracciamo tutta questa fantastica diversità. E non potremo fare altro che raccontare e non tacere anche noi tutta questa meraviglia.

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