Ambiente

Caro-benzina: la sveglia per ripensare la mobilità

I rincari sono il nuovo incubo di famiglie e imprese. Ma siamo anche un Paese “drogato” di auto e carburanti. È arrivato il momento di fissare obiettivi chiari per decarbonizzare e cambiare stili di vita
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18 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Centotrenta, forse 140 km/h. Qualcuno ancora azzarda a schiacciare l’acceleratore. Ma il traffico in autostrada è indubbiamente ridotto. E rallentato.

Sulla A22, l’autostrada del Brennero la carovana di camion e autoarticolati si snoda senza inizio e fine apparente. Ma fermandosi all’autogrill più di un camionista commenta che nei prossimi giorni non viaggerà: se non ci sono consegne urgenti ora non conviene soprattutto ai lavoratori autonomi.

Gli aumenti arrivano per gli autotrasportatori fino a 700-800 euro a pieno. Tante famiglie questo week-end lasceranno la macchina a casa, il pieno costa più dell’hotel 4 stelle. E anche per andare al lavoro c’è chi ritira fuori la bicicletta. Basta andare da un ciclista per una riparazione che si viene rimandati di qualche settimana.

Sembra che tutti stiano sistemando freni e ingrassando catene. Tornano a riempirsi treni e bus, anche di chi, vuoi per la pandemia, vuoi per pigrizia, era tornato a usare l’auto. In tanti invece sono dai concessionari a capire se ci sono bonus per le auto elettriche, magari anche a noleggio lungo termine. Meglio la colonnina elettrica dell’erogatore di benzina. Ma anche quella non è proprio gratis.

Sono scene da austerity nel 2022. Dopo il gas, l’elettricità e i prezzi di grano e fertilizzanti, gasolio e benzina sono il nuovo incubo di famiglie e imprese (o almeno quelle che non hanno adottato un proprio piano di transizione ecologica).

Dietro i prezzi fuori scala dei carburanti non c’è solo la guerra, ma anche l’avidità dei petrolieri, che in una fase di rallentamento degli approvvigionamenti e di domanda elevata spingono sui prezzi. Gli stessi petrolieri (l’Eni di Scaroni) che hanno spianato la strada alla Russia di Putin e acuito la nostra dipendenza dagli idrocarburi. E che scaricano sui cittadini i costi degli affari fatti con lo Zar.

Secondo il think tank Transport&Environment l’Unione Europea importa il 97% del petrolio che consuma: di questo il 25,7% arriva dalla Russia. Quasi due terzi viene impiegato nei trasporti su strada. In Italia il 12,5 del petrolio è di origine russa.

Siamo drogati di auto e carburanti. Più dell’85% dei trasporti merci avviene su gomma. Le auto elettriche immatricolate nel 2021 erano lo 0,3% del totale (era 0,1 nel 2020). Sui trasporti pubblici siamo un disastro (basti pensare che Madrid ha più chilometri di metro dell’intera Italia). L’inquinamento rimane record in Europa.

Ora lo shock dei prezzi sta mostrando tutta la vulnerabilità delle fonti fossili nei trasporti e dell’eccessivo impiego del trasporto individuale. Sicuramente gli investimenti del PNRR guidati dall’abile ministro Enrico Giovannini andranno a cambiare in parte la fruibilità dei mezzi pubblici, sostenendo soprattutto il Sud, dove il trasporto pubblico è pressoché inesistente. Ma non bastano.

Ancora una volta abbiamo dovuto attendere la crisi invece di prevenire e ridurre la dipendenza da fonti fossili da Paesi instabili e autoritari. La soluzione è spostare l’approvvigionamento petrolifero alla Libia o agli Emirati? E cosa succede se scoppia un nuovo conflitto in Medio Oriente?

È arrivato il momento perché anche l’Italia nel nuovo Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, che deve essere presentato da Cingolani entro giugno 2022 abbia obiettivi chiari sulla decarbonizzazione, punti sull’elettrificazione dei trasporti (con una politica robusta su batterie e colonnine di ricarica), fissi subito un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio e incentivi il trasporto pubblico raddoppiando gli sforzi sostenuti con i fondi Ue.

Serve inoltre un piano industriale in accordo con l’Europa per sostenere le tante aziende della mobilità tradizionale destinate a scomparire a riconvertirsi alla mobilità elettrica. Per evitare situazioni di chiusure forzate altrimenti inevitabili.

Infine largo alla mobilità a due ruote: se nel 1970 le immagini della gente in bici sul lungo Tevere invece che incolonnata sul Grande Raccordo Anulare sulle 500 e Topolino dava l’idea di povertà e disagio, oggi il tornare sulle due ruote deve essere veicolata come un progresso culturale.

Andare in bici ci mantiene in salute, tonici e attivi. Per questo servono piste ciclabili sicure ma anche stalli, docce per lavarsi al lavoro e nuovi look per la vita quotidiana su due ruote.

La Pandemia non ci ha reso migliori. Ma qualcosa è cambiato. E ora cambierà sempre più velocemente.

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