Ambiente

Dimmi tu, biologo, cos’è una specie

Le specie nominate finora sono circa 2,3 milioni ma potrebbero essercene ancora milioni, forse miliardi, da scoprire. A complicare il quadro è il fatto che non esiste ancora un accordo universale su come definirle
Credit: EPA/OLIVIER HOSLET  

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15 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

Al mondo esistono milioni, o forse miliardi, di specie non ancora nominate.

Gli scienziati naturalisti, da tempo cercano di elencare e classificare le diverse forme di vita sulla Terra; tuttavia, questo è un aspetto che, a oggi, rimane irrisolto all’interno degli studi scientifici e rispetto al quale si continua a fare ricerca, con l’auspicio di trovare una soluzione condivisa da tutta la comunità scientifica e non troppo onerosa.

L’evoluzione, infatti, infatti reso difficoltosa l’identificazione di nuove specie e, soprattutto, è problematico individuarne sempre di nuove nel corso del tempo, distaccando, per esempio, una varietà dal gruppo a cui apparteneva.

Secondo quanto emerge da un articolo di The New York Times, finora, sono state nominate circa 2,3 milioni di specie; si stima però che ce ne siano ancora milioni – o forse anche miliardi – da scoprire.

A complicare il quadro è il fatto che non esiste ancora un accordo universale sulla definizione precisa di cosa sia una specie. Gli scienziati da tempo utilizzano diversi metodi e criteri di classificazione, ciascuno a seconda delle proprie esigenze e preferenze: non esistendo un processo univoco, è ancora più complesso trovare un terreno comune entro cui muoversi e, quindi, stilare una lista universale delle specie.

Un sondaggio del 2021 ha rilevato che i biologi hanno utilizzato 16 approcci diversi per classificare le specie. Due scienziati scelti casualmente dal campione, a cui è stato chiesto che metodi utilizzavano, hanno affermato di non usare la stessa procedura. Utilizzando processi e interpretazioni differenti, si alza la probabilità di fare valutazioni errate e di non accorgersi se alcune specie siano a rischio estinzione.

Per fare un esempio che riporta l’articolo del The New York Times, nel 1758, il botanico Linneo descrisse la Giraffa camelopardalis come un’unica specie di giraffa. Eppure, esistono così tante varietà di questo mammifero, che risulta approssimativo classificarle in una solo categoria.

Infatti, seppur la loro diffusione sia diminuita negli ultimi decenni, in l’Africa sopravvivono ancora 117.000 giraffe e, per questo, sono state designate come specie vulnerabile (e non in via di estinzione). Ma alcuni biologi sostengono che questo animale sia in pericolo (come evidenzia anche il World Wide Fund for Nature, Wwf) perché studi genetici riconducono la sua classificazione a ben quattro varietà differenti: la giraffa settentrionale, la giraffa reticolata, la giraffa Masai e la giraffa meridionale. E alcune di queste potrebbero essere a rischio estinzione.

Infatti, la giraffa settentrionale ha subito grosse perdite a causa delle guerre civili e del bracconaggio che hanno contribuito alla distruzione del suo habitat naturale.

Come ha precisato Stephanie Fennessy, direttrice esecutiva della Giraffe Conservation Foundation – organizzazione non governativa per la conservazione della specie – se fosse considerata una specie separata, sarebbe “uno dei grandi mammiferi più minacciati al mondo”.

Negli anni ‘40 Ernst Mayr, un ornitologo tedesco, tentò di risolvere il problema con una nuova definizione di specie basata sul modo in cui gli animali si riproducono. Secondo la sua teoria, se due animali non possono riprodursi tra loro, allora sono da considerare specie separate. Questo concetto ebbe un’enorme influenza nel campo della ricerca in questo ambito.

Negli ultimi anni, Christophe Dufresnes, erpetologo dell’University of Nanchino in Cina, sfruttò questa teoria per classificare diverse specie di rane in Europa. Per alcuni gruppi, c’erano molti incroci, mentre per altri ne esistevano pochi (o nessuno). Analizzando il loro Dna, Dufresnes scoprì che i gruppi con un antenato recente si riproducevano più facilmente. Si stima che siano necessari circa sei milioni di anni di evoluzione affinché due gruppi di rane diventino incapaci di incrociarsi e, quindi, divenire due specie distinte.

Seppur efficiente, questo metodo è molto oneroso e, per questo motivo, sono stati ricercati altri modi per identificare le specie, tra cui quello di sequenziare il Dna degli organismi e osservare le differenze nel loro codice genetico.

A ogni modo, man mano che gli scienziati raccolgono dati genetici, emergono nuovi interrogativi su quelle che sembrano essere, in realtà, specie separate. Per esempio, il team di Michal Grabowski, biologo dell’University of Lodz in Polonia, ha scoperto molte diversità tra i crostacei europei. Per questo, animali che sembrano identici tra loro e sembrano appartenere a un’unica specie possono appartenere, per la verità, a insiemi differenti.

Le incertezze su come identificare una specie conduce a conflitti tra gli esperti.

Nel caso degli uccelli, gli ornitologi hanno creato i propri elenchi di tutte le specie sulla Terra, ma spesso queste non sono allineate tra loro. Il discorso si estende anche al mondo delle piante: anche qui la situazione è complessa.

Possono volerci decenni prima che una nuova specie di pianta sia nominata ufficialmente in una pubblicazione scientifica dopo la sua prima scoperta.

Questo ritmo alimenta il rischio: secondo un articolo della collezione speciale Global plant diversity and distribution, tre specie di piante non descritte su quattro sono in minaccia di estinzione.

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