Ambiente

Plastica: l’industria conosceva le difficoltà del riciclaggio, ma ha taciuto

Un rapporto del Climate Integrity racconta che da decenni le aziende produttrici erano a conoscenza della complessità di recuperare il materiale inquinante. Secondo alcuni avvocati, ci sono gli estremi per una causa di frode ai consumatori
Credit: Polina Tankilevitch  

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16 febbraio 2024 Aggiornato alle 18:00

Sapevano delle difficoltà nel riciclare la plastica, ma per decenni hanno taciuto per poter continuare a godere di alti profitti.

Un nuovo rapporto, chiamato The Fraud of Plastic Recycling, attraverso documenti, trascrizioni di incontri, il recupero di vecchie dichiarazioni e informazioni, mostra come le grandi compagnie petrolifere e l’industria della plastica abbiano “ingannevolmente promosso il riciclo come soluzione alla gestione dei rifiuti di plastica per più di 50 anni”, il tutto “nonostante la loro conoscenza di lunga data che il riciclo della plastica non è tecnicamente o economicamente sostenibile su larga scala”.

Accuse pesanti e dettagliate nei confronti del mondo “big oil”, responsabile secondo il gruppo Center Climate Integrity (Cci) che ha pubblicato il rapporto, di omissioni e inganni per poter mantenere vivo un business - per esempio con gli usa e getta - che oggi dal macro inquinamento in Asia alle microplastiche presenti ovunque nel mondo, sta avendo enormi ripercussioni sia sulla salute degli ecosistemi che su quella umana.

L’intero documento si basa su una serie di ricostruzioni che per Climate Integrity dimostrerebbero come l’industria fosse a conoscenza che il possibile riciclo di questo materiale già ai tempi era “praticamente senza speranza”.

Si parla di conoscenze maturate diversi decenni fa, ben prima di un 2024 dove le nuove tecnologie permettono comunque una parte di riciclo, seppur con grandi difficoltà dato che il riciclo della plastica a livello globale è appena intorno al 10%.

«Le aziende hanno mentito» ha affermato Richard Wiles, presidente del Center for Climate Integrity , ed è «ora di ritenerle responsabili dei danni che hanno causato».

Il cammino che ha portato i produttori di plastica, ricavata da petrolio e gas, verso una spinta all’idea del riciclo nonostante le difficoltà di questo processo, è fatto di un lungo percorso di campagne di marketing e informazioni taciute.

Si parte dagli anni Cinquanta quando i produttori di plastica, per garantire crescita e profitti, spinsero per i prodotti usa e getta perché «sapevano che se si fossero concentrati sulla plastica monouso la gente avrebbe comprato, comprato e comprato», sostiene Davis Allen, ricercatore investigativo del Cci e autore principale del rapporto.

Proprio in una conferenza del settore del 1956 - racconta il report - la Society of the Plastics Industry (oggi Plastics Industry Association) dice ai produttori di concentrarsi su “basso costo, grande volume e consumabilità” e puntare a far sì che i materiali finiscano “nella spazzatura”, in modo da produrne altri e continuare con i guadagni.

Passano gli anni e l’industria dice ai consumatori che la plastica può essere facilmente buttata nelle discariche o bruciata negli inceneritori e poi negli anni Ottanta, davanti alle prime difficoltà per l’enorme quantità di inquinanti presenti, si spinge per il riciclo, anche se sapevano che “non era fattibile”.

Un rapporto interno del 1986 dell’associazione di categoria Vinyl Institute diceva a esempio che “il riciclo non può essere considerato una soluzione permanente ai rifiuti solidi, poiché prolunga semplicemente il tempo fino allo smaltimento di un articolo”.

E ancora, nel 1989, la Vinyl sosteneva che “il riciclo non può andare avanti all’infinito e non risolve il problema dei rifiuti solidi”.

Ci sono altre raccolte, nel report, di frasi e informazioni simili sul fatto che l’utilità ed efficacia nel riciclo della plastica fosse bassissima anche secondo gli stessi produttori.

Eppure per esempio nel 1988 vengono lanciati i primi simboli (come le frecce che si inseguono) da utilizzare sugli imballaggi per indicarne la possibilità di recupero.

Negli anni Novanta altri gruppi industriali promuovono il concetto che “una bottiglia può tornare come una bottiglia, ancora e ancora…” ma nel frattempo, sostengono dal Cci, a porte chiuse i leader del settore petrolchimico affermano che il riciclo, molto complesso, non è una reale soluzione per la plastica.

Per dire: nel 1994 un dipendente della Exxon dice all’American Plastics Council: “Siamo impegnati nelle attività di riciclo, ma non nei risultati…”.

Tutte queste e altre informazioni, contenute nel report, non sostengono una violazione di leggi specifiche da parte del settore ma secondo Alyssa Johl, coautrice e avvocato del rapporto, ci sono gli estremi per sospettare un possibile reato di frode nei confronti dei consumatori, una cattiva condotta che “continua ancora oggi”.

Oggi i tassi di riciclo di plastica - se si escludono determinati settori - sono ancora molto bassi, intorno al 10%, e le emissioni legate allo smaltimento della plastica rappresentano il 3,4% di tutte le emissioni globali di gas serra.

Nel mondo sono in corso anche oltre duemila climate litigation, cause legali collegate alla crisi climatica, e circa 25 città hanno fatto causa all’industria dell’ Oil & Gas per aver nascosto i pericoli del surriscaldamento globale.

Secondo gli autori del Cci, nello stesso mondo andrebbe trattata la questione plastica, portando in tribunale le industrie petrolifere e petrolchimiche per aver “ingannato consapevolmente” il pubblico, afferma Wiles ribadendo che «il primo passo per risolvere il problema dovrebbe essere quello di responsabilizzare le aziende».

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