Economia

Dieci riforme per rendere l’Italia un Paese moderno

Stipendi che bastano, anziani assistiti sul territorio, un reddito per chi studia e un welfare universale: così sogno un’Italia diversa
Credit: Federico Lancellotti 

Stanotte ho fatto un sogno. Ho visto un’Italia diversa, moderna, anzi contemporanea. Grazie a dieci riforme.

Sappiamo che il debito pesa come un macigno, sappiamo che i vincoli di bilancio sono stringenti e che non tutto può essere realizzato. Ma indicare la direzione verso cui, a mio avviso, si dovrebbe andare è il primo passo per avvicinare il nostro Paese, troppo indietro su troppi fronti, all’Europa.

Quegli stipendi troppo miseri

Se ne parla a casa, in ufficio, e anche sui giornali. Meno sui banchi della politica. La questione degli stipendi che non bastano, ultimi in Europa, dove da anni sono in crescita, è una questione fondamentale.

Non si può vivere, sognare, progettare se si guadagnano mille euro o meno. Ecco perché serve un salario minimo, visto che una fetta consistente dei lavoratori non ha sindacati né accordi. Ca va sans dire, questo non basta, occorre anche una riforma degli ammortizzatori sociali che ancora oggi coprono solo i lavori tutelati e dipendenti. E un reddito anti-povertà per chi non ha disoccupazione, ma ancora non ha un lavoro (e una riforma radicale delle agenzie per il lavoro che no, non funzionano).

Un welfare familiare universale

Le famiglie soffrono di povertà più di tutte. Per questo, vanno sostenute, perché è insopportabile pensare che oltre un milione di bambini sia sotto la soglia della povertà assoluta. Il welfare per le famiglie dovrebbe essere robusto e avere un carattere universale, ovvero coprire quasi tutte le famiglie, senza strozzare gli aiuti a una soglia Isee troppo bassa, che esclude sempre il ceto medio. Solo così, tra l’altro, si potrà incentivare davvero la natalità.

Una popolazione anziana che chiede sostegno

Siamo già un Paese di anziani, le proiezioni sono ancora più preoccupanti, presto la maggioranza della popolazione lo sarà e ci saranno milioni di persone prive di autosufficienza.

Serve una riforma radicale dell’assistenza, che, soprattutto, porti l’aiuto a domicilio, che permetta agli anziani di potersi pagare un sostegno (alla luce del sole, non in nero), che gli consenta una quanto maggiore autosufficienza.

Ci sono modelli in Europa ormai sviluppati, seguiamoli. Di nuovo, senza vincolare l’aiuto a un Isee miserevole. Fondamentale, anche, riconoscere e sostenere una delle figure più importanti del nostro Paese: il caregiver, quasi sempre un familiare, che rischia un burnout fisico e psicologico.

Morire secondo il proprio desiderio

Si fa fatica, ormai, a seguire le sempre più numerose storie di cronaca di persone che devono pagare per morire fuori dal proprio Paese, in un freddo ambulatorio all’estero. Si fa fatica emotivamente e in tanti altri sensi. Una legge sul fine vita, che consenta alle persone di decidere rispetto a un tema sul quale ci vorrebbe rispetto e silenzio, è fondamentale. Per tutelare loro e chi le aiuta, che oggi rischia il carcere.

La legalità è tutto

L’Italia è un Paese che soffre di illegalità. Su tutti i fronti. Evasione fiscale, corruzione, lavoro nero. Il sistema dei controlli funziona poco, ma il peso di tutta questa illegalità costa tantissimo a tutto il Paese. È una zavorra che impedisce all’Italia di entrare in Europa, di ridurre la diseguaglianza, che non consente di aiutare i più poveri. In questo senso, la lotta a tutto ciò dovrebbe essere il primo obiettivo di chi governa.

Medicina buona. E sul territorio

Il Covid-19 sembra averci insegnato poco. Ci ritroviamo con sistemi sanitari al collasso, medici e infermieri in fuga, liste di attesa infinite. Sul sistema sanitario occorre investire massicciamente, aiutando il sistema pubblico a rinascere, non facendolo morire a favore del privato. Ma soprattutto ci vorrebbe una medicina territoriale, perché l’Italia è il Paese delle montagne e dei piccoli borghi, dove vivono decine di migliaia di anziani che per fare una visita devono fare ore di macchina. Una medicina diffusa sul territorio, unita a un sistema di telemedicina che da noi non è per nulla sviluppato, aiuterebbe sia le persone sia, in definitiva, i conti dello stato.

Ius scholae, almeno

C’è una popolazione di persone, in Italia, che studia, consuma, lavora, versa contributi, ma non viene riconosciuta. Sono le persone arrivate da fuori, immigrate, i cui figli, nati in Italia, e che magari oggi arrivano persino a vincere medaglie, eccellendo negli sport con la maglia italiana, non hanno la cittadinanza. Se non si vuole dare lo Ius soli, che almeno si dia loro lo Ius Scholae. Dobbiamo riconoscere che loro siamo noi e noi siamo loro, un unico popolo. I giovani lo sanno benissimo, anzi lo vivono, impariamolo anche noi.

Servizio pubblico televisivo vero, per favore

Il simbolo forse più drammatico dell’italianità peggiore è la lottizzazione della politica sull’informazione. Un servizio pubblico televisivo, che fa informazione al Paese, non dovrebbe mai e poi mai essere di destra o di sinistra. Non esiste una informazione di destra e di sinistra. Un riforma della Rai, magari con un unico canale, assolutamente indipendente, così come chiesta negli anni da moltissime forze politiche, sarebbe una misura concreta e simbolica importantissima.

La transizione ecologica deve essere cool

Che serva spingere sulla transizione ecologica come non mai è cosa ovvia. Per avere un’Italia meno inquinata, più pulita, per avere bollette molto meno salate e persone meno schiacciate dagli oneri energetici. Il Paese del sole non può dipendere ancora dal gas, questo è certo. Ma soprattutto questo passaggio va raccontato come una opportunità da prendere subito, rapidamente, un’occasione di trasformazione incredibile e, insieme, di radicale risparmio. Sotto ogni punto di vista.

Un reddito per chi studia

Concludo con quella che secondo me è la spina nel fianco più dolorosa del nostro Paese.

Il bassissimo numero di laureati, dovuto anche al fatto che studiare costa e non tutti possono permetterselo. Ci sono molti ragazzi che vorrebbero, ma non hanno i mezzi e le poche borse di studio e i pochissimi alloggi universitari non sono abbastanza.

Il fatto è che un’Italia con pochi laureati è un’Italia peggiore in tutti i sensi. Perché avere cultura e formazione significa avere i mezzi per scegliere chi votare con maggiore consapevolezza, significa avere gli strumenti per controllare gli illeciti pratici e morali di amministrazioni locali e non solo. Chi ha cultura e formazione può decidere della sua vita in maniera diversa e non essere succube di un lavoro malpagato e sfruttato. E allora propongo un reddito speciale per chi vuole studiare ma non può. In altri paesi esiste lo strumento del prestito, ma i nostri bassi salari non lo consentono.

Trovare dei soldi per far sì che più giovani possano laurearsi mi sembra un obiettivo fondamentale. Questo, sì, si può fare. Magari eliminando qualche grande opera o infrastruttura non necessaria. E investendo sulla più meravigliosa delle infrastrutture: il sapere.

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