Economia

Quando la finanza diventa insostenibile

Le vendite di fondi comuni di investimento incentrati sul clima sono diminuite del 75% in due anni. Secondo i dati Morningstar, nel 2023 il nuovo influsso è sceso a 37,8 miliardi di dollari
Credit: Freddie Collins  

Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
31 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Mentre le temperature globali salgono e in quasi ogni parte del mondo si è costretti a fronteggiare le emergenze climatiche, la finanza sostenibile va in crisi. Infatti, le vendite di fondi comuni di investimento incentrati sul clima sono diminuite del 75% in due anni.

Secondo i dati Morningstar citati dal Financial Times, il nuovo influsso di denaro incanalato nei fondi comuni di investimento focalizzati sul clima è sceso a 37,8 miliardi di dollari nel 2023, con un crollo verticale rispetto ai 151 dollari del 2021. Si tratta dell’anno peggiore in termini di afflussi netti dal 2019.

Solo nel 2023, negli Stati Uniti, i legislatori repubblicani di ben dodici stati hanno emanato normative anti-Esg, i parametri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance. Attualmente, sono diciannove gli Stati negli Usa che hanno leggi di questo tipo.

Si parla di investimenti “woke”, letteralmente “svegliati”, ma in realtà traducibili come consapevoli rispetto alle ingiustizie. Questo termine, mutuato dalla cultura afro-americana, in alcuni ambienti sta diventando quasi un insulto (quindi, mi par di capire, essere consapevoli e impegnati non va bene…).

La finanza è uno di quelli. Quando è abbinato agli investimenti, il termine “woke” attira non solo commenti negativi ma anche reazioni politiche. Come abbiamo visto, negli Stati Uniti la tendenza anche legislativa è stat quella di limitare o eliminare notevolmente gli investimenti “woke”, ovvero quelli più sostenibili sotto il profilo ambientale, sociale e di governance.

Negli Usa, gli ambienti dai quali giungono queste critiche sono legati soprattutto alla destra conservatrice. E sembrano proprio il canto del cigno: il disperato tentativo di chi ha sguazzato nei propri privilegi, senza preoccuparsi troppo del resto del mondo, con il quale perfino ora, che la Terra non ne può più di noi e il tempo stringe, proprio non vuole scendere a patti.

Almeno, questo è quanto emerge dai dati di Morgan Stanley, secondo cui il 50% degli investitori e, più in dettaglio, quasi il 75% degli investitori Millennial hanno apportato modifiche agli investimenti – o hanno pianificato di farlo – in una prospettiva di maggiore consapevolezza ambientale e sociale. Viva i Millennial, quindi!

E invece, alcuni investitori e perfino alcune personalità dello showbiz conservatrici stanno investendo milioni di dollari per costruire quella che chiamano “economia parallela” (o anche, in maniera ancora più rivelatrice, “economia patriottica”). Cioè, al grido di “non si può più dire niente”, stanno investendo i propri soldi per creare un universo parallelo fatto di mezzi di comunicazione, così come altre attività in diversi settori produttivi, che si rivolgono al pubblico conservatore nel tentativo di combattere il “risveglio”.

E siamo arrivati al punto che i conservatori hanno montato la protesta contro quei marchi che hanno espresso il proprio impegno nei confronti della comunità Lgbtq+, dell’equità o delle cause femministe.

Hanno boicottato perfino Bud Light (non riesco a immaginare niente di più macho di una buona birra fredda, eppure…). Pare volessero punirla perché aveva lanciato una campagna di marketing con la star trans* Dylan Mulvaney.

Insomma, il mondo al contrario (questa l’ho già sentita…).

Chissà perché, ci ostiniamo a non capire che l’Homo Oeconomicus è un narcisista patologico e che, per fortuna, non esiste. E perché non vogliamo davvero convincerci che il benessere individuale si raggiunge solo insieme al benessere collettivo (e non in alternativa a esso).

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