Ambiente

Le Comunità energetiche rinnovabili sono una rivoluzione sociale e ambientale

Le Cer rovesciano la nostra visione lineare, individualistica e fossile dell’energia, soppiantandola con un modello condiviso, responsabile e sostenibile
Credit: ANSA-DPA  

Si aspettava da mesi e alla fine, fortunatamente, è arrivato. Si tratta del decreto sulle Comunità energetiche rinnovabili (Cer), con il quale si stabiliscono anche i criteri attraverso cui promuovere, appunto, lo sviluppo delle Comunità energetiche: c’è un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi, finanziato dal Pnrr, e una tariffa incentivante sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa.

Sul sito del Gestore Servizi Energetici e su quello del Ministero dell’Ambiente si dà risposta a una serie di domande sulle Cer, sugli obiettivi, sui vantaggi e sui requisiti.

Mettersi insieme: chi e come

Ma appunto, cos’è una Cer? Si tratta di “un insieme di cittadini, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, incluse le amministrazioni comunali, le cooperative, gli enti di ricerca, del terzo settore e di protezione ambientale” che condividono l’energia elettrica rinnovabili prodotta da impianti appartenenti a uno o più soggetti della comunità.

Per realizzare una Cer, occorre individuare le aree dove realizzare gli impianti e poi costituire legalmente la Cer, dotandola di una autonomia giuridica attraverso un atto costitutivo e uno statuto. Nella Cer si può entrare quando si vuole e lo stesso uscirne. Ne possono far parte sia i produttori di energia rinnovabili, chi cioè realizza un impianto, sia gli autoconsumatori di energia rinnovabili (coloro che producono energia con un proprio impianto sia per soddisfare i propri comuni che per condividere con la comunità l’eccesso), sia i consumatori di energia elettrica, che non possiedono impianti ma hanno una utenza elettrica i cui consumi possono essere in parte coperti dall’energia elettrica prodotta dagli altri membri.

Consumatori e produttori devono però, questo il vincolo geografico, essere ubicati nell’area geografica i cui punti di connessione alla rete elettrica nazionale (Pod) sono sottesi alla medesima cabina elettrica primaria (la mappa è consultabile sul portale di Gse). Sempre sul portale informativo del Gse si potrà richiedere l’accesso al contributo del Pnrr per tutte quelle spese che ruotano intorno alla realizzazione dell’impianto, dalla posa in opera al collaudo. Da notare che in una Cer possono essere presenti anche infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici e l’energia della ricarica è calcolata all’interno delle energia condivisa dalla Cer.

Dell’energia nelle nostre case non sappiamo nulla

Tutto quanto detto può sembrare un’algida questione tecnica. Ma invece così non è. Le Comunità energetiche rinnovabili, si capisce anche anche dal nome, rovesciano completamente l’immaginario che abbiamo dell’energia, sostituendolo con una filosofia radicalmente diversa. A livello simbolico, pratico, sociale.

Siamo cresciuti, e purtroppo viviamo ancora, con un modello energetico che è lineare, individualistico, non circolare, in un certo senso “usa e getta” e insostenibile a livello ambientale, perché in buona parte poggiato su fonti fossili. Dunque, la nostra energia è questa: l’elettricità (prodotta ancora per circa il 65% da fonti fossili) arriva nelle nostre case.

Di essa non sappiamo nulla, la consumiamo come consumiamo i prodotti della spesa che qualcuno ci ha consegnato (in verità non è proprio così, perché almeno i prodotti hanno l’etichetta e sappiamo da dove vengono e di che sono fatti). Non è un’energia autosostenibile, il che significa che produce emissioni e fa ad aumentare il bilancio complessivo delle emissioni (il nostro debito ecologico). Inoltre, molta energia va sprecata, proprio come i cibi andati a male. il nostro modello resta quello per cui accendiamo e spegniamo, stop. Poi ogni due mesi arrivano bollette salatissime che non sappiamo come spiegarci. E che colpiscono i più poveri e fragili.

Responsabilità e controllo su quanto produciamo (e usiamo)

Le comunità energetiche rovesciano questa filosofia fossile-individualista. Anzitutto, bisogna appunto mettersi insieme. Una serie di soggetti si incontrano, si conoscono, decidono di aprire una comunità energetica. Possono essere soggetti diversi, imprenditori, parroci, agricoltori, piccole e medie aziende. Insomma, il primo passo per una comunità energetica è l’incontro, il mettersi insieme è già è una piccola rivoluzione.

Il secondo passo è l’autoproduzione. La Comunità energetica produce energia, e chi ne fa parte la utilizza in tutto o in parte. Questo significa che non è una energia che arriva da chissà dove e di cui non conosciamo nulla - sarebbe davvero una bistecca senza alcuna etichetta, vi fidereste? - ma una prodotta localmente. Autoprodurre porta con sé un senso sia di responsabilità rispetto all’energia utilizzata che di controllo su quanto entra, per così dire, e quanto esce. ed è la fine di una concezione dell’energia come qualcosa di illimitato - non la possiamo vedere fisicamente, ci sembra tale - ma soprattutto qualcosa che si produce in maniera quasi immateriale.

Quando per produrre bisogna bruciare, carbone, petrolio, etc, mentre nel migliore dei casi servono impianti che vanno costruiti con fatica e con molte materie prime. Ci vogliono pannelli che assorbono l’energia solare, pale che girano. Insomma l’energia è fisica, nulla di “spirituale”.

Energia pulita e bollette umane

L’ultimo, fondamentale, punto sta nel fatto che l’energia della Comunità è per forza cento per cento rinnovabile. Dunque pulita, sostenibile, circolare. Si tratta, anche qui, di una rivoluzione, perché l’elettricità usata è totalmente prodotta da fonti rinnovabili, non solo in parte senza che si capisca come e quanto.

Il che significa, altra conseguenza benefica, che i costi delle bollette sono più bassi ma soprattutto stabili e sottratti alla speculazione. In altre parole, le Comunità energetiche rinnovabili non hanno alcuna controindicazione, ma solo effetti positivi: di tipo sociale, la gente torna a riunirsi; di tipo ecologico, zero emissioni; di tipo psicologico, le persone finalmente hanno il controllo di quanto consumano; di tipo economico, si spende di meno.

Ce ne sarebbe abbastanza perché la politica si dedicasse a promuoverle in tutti i modi possibili. E non come una eventuale possibilità per persone alternative e un po’, come dire, “fricchettone”, ma come il migliore modello standard per tutti, come il modello del futuro. È possibile che questo modello possa andare contro alcuni interessi, ma di certo non si tratta di quelli dei cittadini. Né di quelli dell’ambiente. Perciò, vi prego, ora avanti tutta con le Cer.

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