Ambiente

Perché i college e atenei Usa stanno scavando i loro terreni?

Mirano al geoscambio termico, una tecnologia che permette di riscaldare gli edifici senza bruciare combustibili fossili
Credit: Billy Freeman  

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31 gennaio 2024 Aggiornato alle 08:00

Le università e i college americani stanno facendo profondi e costosi scavi nei propri terreni. Il motivo risiede nello geoscambio termico, la soluzione per decarbonizzare che sta prendendo piede negli Stati Uniti.

Il vantaggio di questa tecnologia è che all’occorrenza può restituire agli edifici il calore immagazzinato sotto terra, senza bruciare combustibili fossili.

Il geoscambio infatti è come una sorta di banca che in estate accumula calore prelevandolo dagli ambienti da raffreddare, per trasformarlo in acqua che viaggia nei tubi sotterranei e che poi in inverno può essere sia riscaldata sia pompata all’interno delle strutture.

Un operatore dell’impianto monitora il fabbisogno e la generazione di calore, intervenendo in tempo reale per gestire il caldo e il freddo, massimizzando l’efficienza energetica delle strutture.

È proprio quello che accadrà a Princeton dopo la trivellazione di oltre duemila pozzi e la loro attivazione entro il 2033.

Per la storica università nata nel 1746 si tratta di una rivoluzione: per secoli l’istituto si è scaldato con caldaie a vapore che bruciano combustibili a base di carbonio - legna, carbone, olio, gas naturale -, ora invece si servirà di sistemi più ecologici, come elettricità e pompe di calore.

L’istituto ha investito in questo progetto da diverse centinaia di milioni di dollari con l’obiettivo di smettere di immettere gas serra nell’atmosfera entro il 2046. Le stime sui costi sono ancora ipotetiche ma il rettore Christopher Eisgruber è tranquillo perché per sistemare o sostituire le tubature vecchie di 150 anni avrebbe speso altrettanto. Secondo le previsioni, inoltre, il consumo di acqua calerà di un quinto.

Nel frattempo sistemi di geoscambio o geotermia sono installati, in uso o in fase di test in almeno una decina di altri istituti. Tra questi, Cornell University e Columbia University sono già attive con progetti sul campo nella zona di New York City.

I college sono particolarmente adatti per questi impianti perché sono formati da più strutture vicine tra loro e inoltre possiedono sia lo spazio necessario per le trivellazioni sia un proprio riscaldamento autonomo. Un aspetto aggiuntivo da non sottovalutare è la disponibilità di grandi risorse iniziali per investimenti sul lungo periodo, pur considerando che negli anni successivi ci sarà un certo risparmio.

Sarah Fortner, direttore della sostenibilità del Carleton College in Minnesota, ha fatto sapere che il geoscambio, completato nel 2021, è costato 42 milioni di dollari, ha ridotto l’uso annuale di gas naturale del 70% e ha avvicinato di 25 anni il traguardo della scuola di essere carbon neutral: ora l’obiettivo è fissato per il 2025. Il pareggio di bilancio invece è previsto entro 18 anni.

Con 3.600 pozzi, gli amministratori della Ball State University vantano il più grande sistema di geoscambio, perlomeno dell’Indiana: terminato nel 2015, è costato 83 milioni di dollari ma si è già ripagato da solo, con un crollo dell’impronta di carbonio dell’istituto del 60%.

Lindsey Olsen, vice presidente associata della società di ingegneria tecnica Salas O’Brien, ha spiegato al New York Times che le istituzioni secolari come questi college sono disposte a investire molto denaro, a pensare a lungo termine e a considerare i benefici futuri, aggiungendo che spesso sono gli studenti a sostenere questa transizione. Chissà se potrebbe mai succedere qualcosa di simile in Italia, dove la decarbonizzazione è molto lenta.

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