Ambiente

Oceani sempre più acidi mettono a rischio gli habitat antartici

Entro il 2100, l’acidificazione delle acque potrebbe aumentare tanto da minacciare la catena alimentare e gli animali. A partire dal Polo Sud
Credit: Jason Row  

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12 gennaio 2024 Aggiornato alle 12:00

La “Grave acidificazione degli oceani del 21esimo secolo” ora è messa nero su bianco in un nuovo studio scientifico, quello dell’University of Colorado Boulder, che ha analizzato le aree marine protette dell’Antartide.

La ricerca, da poco pubblicata sulla rivista Nature Communications, evidenzia che l’acidità di quelle acque costiere potrebbe raddoppiare in circa 75 anni, ovvero entro la fine del secolo, minacciando la biodiversità, le balene, i pinguini e centinaia di altre specie che abitano l’Oceano Antartico.

Gli scienziati hanno previsto quindi che da qui al 2100 la parte superficiale dell’oceano, dove si svolge gran parte della vita marina, ma anche quella sul fondo potrebbe subire un aumento dell’acidità di oltre il 100% rispetto ai livelli degli anni Novanta.

«I risultati sono fondamentali per la nostra comprensione della futura evoluzione della salute dell’ecosistema marino», ha detto Nicole Lovenduski, co-autrice della relazione e direttrice a interim dell’Istituto di ricerca artica e alpina (Instaar) della Cu Boulder.

Com’è noto, infatti, gli oceani svolgono un importante ruolo di cuscinetto contro il cambiamento climatico assorbendo quasi il 30% della CO2 emessa a livello mondiale, ma man mano che l’anidride carbonica si dissolve nelle acque, queste diventano più acide.

L’oceano del Polo Sud è particolarmente soggetto all’acidificazione, sia per il contributo delle correnti della zona sia perché l’acqua fredda tende ad assorbire più CO2. E tutto questo avviene in Antartide, un’area molto importante e utile per gli studi scientifici sulla Terra: di recente per esempio, sotto la calotta glaciale, è stato scoperto un antico paesaggio fluviale.

Utilizzando un modello computerizzato, il team di ricercatori ha realizzato questa simulazione che svela come l’acqua del mare antartico cambierà nel 21esimo secolo, appurando ancora una volta che occorre assolutamente abbattere le emissioni globali.

Le aree marine protette (Amp) nell’Oceano Antartico attualmente sono due e coprono circa il 12% dell’acqua della regione ma, negli ultimi anni, gli scienziati hanno proposto di individuare altre tre Amp, che arriverebbero a comprendere circa il 60% del totale.

Così, nello scenario con le emissioni più elevate in cui il mondo non fa sforzi per ridurre le emissioni, l’acidità media dell’acqua nella regione del Mare di Ross - la più grande Amp del mondo al largo della punta settentrionale dell’Antartide - entro il 2100 aumenterebbe del 104% rispetto ai livelli degli anni Novanta. In uno scenario di emissioni intermedie, invece, l’acqua diventerebbe comunque più acida del 43%.

Studi precedenti hanno dimostrato che il fitoplancton, un gruppo di alghe che costituisce la base della rete alimentare marina, cresce a un ritmo più lento o si estingue quando l’acqua diventa troppo acida. Questo tra l’altro indebolisce i gusci di organismi come le lumache di mare e i ricci di mare.

Tali cambiamenti potrebbero dunque sconvolgere la catena alimentare, con un impatto sui principali predatori come balene e pinguini.

Lo studio in sostanza suggerisce che il mondo potrebbe evitare una grave acidificazione degli oceani solo nello scenario a più basse emissioni, quello in cui la società taglia le emissioni di CO2 in modo rapido e deciso. «Abbiamo ancora tempo per scegliere il nostro percorso di emissione, ma non è molto», ha detto Cara Nissen, prima autrice della tesi e ricercatrice presso l’Instaar.

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