Futuro

Perché Alexa e Siri fanno innervosire tutti

Il trend degli smart speaker è in crescita, con quasi 40 milioni di dispositivi venduti in tre mesi nel 2021. A volte, però, gli utenti non sopportano la loro aria saccente
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 marzo 2022 Aggiornato alle 09:52

“Alexa, che tempo fa oggi?”, “Siri, dammi le notizie del giorno”. Fino a qualche decennio fa sembrava futuristico immaginare che un giorno avremmo interagito con un’intelligenza artificiale. Nel 1997 Dragon lanciava il primo software di riconoscimento vocale al mondo, per scrivere utilizzando la voce, ma i risultati lasciavano piuttosto a desiderare. L’acquisto si risolveva spesso e volentieri in scenette comiche e ripetuti tentativi di scandire al meglio le proprie richieste, puntualmente mal interpretate dal dispositivo di ultima generazione.

Oggi, invece, molti di noi si avvalgono quotidianamente dell’assistente vocale, chi per aggiornarsi, chi per controllare il meteo, chi per avviare la riproduzione di una playlist musicale. Proprio queste ultime due sono le richieste che rivolgiamo più frequentemente ai nostri smart speaker.

Se invece si tratta dell’assistente vocale dell’auto o dello smartphone, ce ne serviamo per lo più per telefonare e cercare destinazioni sul navigatore. Secondo un’indagine condotta dalla società di ricerca Strategy Analytics, nel secondo trimestre del 2021 le spedizioni a livello mondiale di altoparlanti e display intelligenti sono lievitate del 34,8%, rispetto allo stesso periodo del 2020: circa 39,5 milioni di unità vendute.

In base alle stime, Google Assistant registra 500 milioni di utenti attivi ogni mese, Siri 374 milioni. Rispetto alle installazioni, Cortana di Microsoft e DuerOS di Badu sono presenti in 400 milioni di device, Alexa in 200 milioni e Bixby di Samsung in oltre 160 milioni. Un trend in crescita, a dispetto delle difficoltà affrontate nei mesi scorsi dalle catene di approvvigionamento.

In Italia il settore fattura circa 130 milioni di euro all’anno. A rivelarlo è una ricerca compiuta nel 2021, sulla Smart Home dall’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano. Più in generale, il 46% degli italiani possiede in casa almeno un oggetto smart, ma solo l’11% impiega l’assistente vocale per controllare e programmare altri prodotti smart della casa, come alcuni elettrodomestici.

Questi dispositivi comprendono la voce umana, raccolgono dati e possono svolgere varie funzioni con gradi di difficoltà differenti. Sebbene, però, stiano entrando a far parte del nostro arredamento e del nostro kit di sopravvivenza, spesso il loro utilizzo innervosisce l’utente, come riporta il Washington Post.

Quando, per esempio, si opta per lo shopping online tramite Alexa, ogni volta che si aggiunge qualcosa al carrello, comincia una lunga descrizione e una sequela di informazioni sul prodotto, in genere inutili, considerando che lo si è già selezionato per l’acquisto. Ma, a disturbare a volte è anche la personalità da “problem solver” saputello degli smart speaker, che alla lunga rischia di seccare l’utente. Il creatore di TikTok @OfficiallyDivinity in un video divenuto virale si lamenta della “saccenza” e della “sicurezza” di Alexa e dell’Assistente Google.

Insomma, il colosso di Jeff Bezos sostiene che parlare con Alexa sia un’esperienza molto simile a quella che si può avere con un essere umano, mentre Apple ha assicurato che si sta attrezzando per affinare le capacità di comprensione e di interazione di Siri, eppure sul piano dell’empatia e della pertinenza delle risposte c’è ancora molta strada fare. Nello sviluppare questi dispositivi le aziende non si sono basate su un modello di conversazione “umana”, ha spiegato Compton, creatore dell’IA che alimenta i robot di Twitter come Infinite Scream e Gender of the Day al Washington Post.

Senza considerare, inoltre, gli effetti sui più piccoli. In un recente articolo de Il Messaggero, Rosalinda Cassibba, professoressa di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università di Bari, afferma che nei bambini fino ai 6 anni lo sviluppo del pensiero ha due punti focali: l’egocentrismo cognitivo e l’animismo, il primo consiste nella convinzione inconscia che tutto gli ruoti intorno, il secondo nell’attribuire una coscienza anche agli oggetti inanimati, come i giocattoli.

Con uno strumento che addirittura risponde alle domande del bimbo, il passo da fare è breve. «Può darsi che i ragazzi perdano alcune competenze e ne acquisiscano altre. Il pericolo è l’impoverimento di alcune funzioni cognitive, soprattutto perché si ottengono aiuti e indicazioni subito, senza i limiti da superare nel percorso di apprendimento».

Leggi anche
agricoltura
di Redazione 2 min lettura