Economia

Nasce Semia, il primo fondo femminista

Al servizio delle realtà territoriali, supporterà le organizzazioni che si occupano dei diritti di ragazze, donne, persone trans e non binarie, per l’autodeterminazione di tutte. Ti racconto come
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
12 dicembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Lo sai cosa sono i fondi femministi? Si tratta di fondazioni speciali che supportano le associazioni che promuovono i diritti delle donne. Nel mondo ce ne sono più di 40.

In Italia, finora, nemmeno una (anche perché nel nostro Paese “femminista” è una parola che viene ancora considerata divisiva: cioè, chiedere di non essere discriminate pare sia divisivo. Comunque…).

Come funzionano i fondi femministi? In primo luogo, ci mettono i soldi, ovvero finanziano le attività delle organizzazioni e delle associazioni che si occupano di uguaglianza di genere. E lo fanno con una prospettiva intersezionale, cioè assegnando una priorità a quelle realtà più fragili in base ai diversi assi di discriminazione, che possono essere la classe, la razza, l’identità di genere e la disabilità.

Il sostegno finanziario non è, peraltro, l’unico strumento adottato, perché tendenzialmente il fondo femminista assicura anche altri tipi di supporto: formativo, strategico, progettuale, nella raccolta fondi e nelle attività di comunicazione.

Serve, un fondo femminista? Tendenzialmente, sì.

In Italia, secondo la ricerca condotta dalla fondazione Semia Fondo delle Donne Ente Filantropico e cofinanziata dal Mediterranean Women’s Fund, le organizzazioni che si occupano di tutelare i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere operano in scarsità di fondi e con scarso supporto in generale. Non vengono finanziate: solo il 15% riceve un supporto economico da parte delle fondazioni italiane.

Sono di piccole dimensioni: per oltre il 70%, sono composte da massimo 15 persone. Faticano a crescere, anche perché l’85% delle persone che vi lavora lo fa su base totalmente volontaria.

Qualche altro dato: sono collocate prevalentemente nel Nord Italia e al Centro, più del il 40% si trova nelle aree metropolitane.

Roma, da sola, ne ospita quasi il 16% del totale.

Per il il 61% delle organizzazioni, la mancanza di fondi è un problema grave, il 45% manifesta carenze di tipo strutturale e organizzativo.

Ancora: più del 50% delle associazioni e delle organizzazioni femministe si occupa di violenza di genere, che per l’80% del totale è proprio il tema principale di intervento. E questo ci fornisce un’informazione: è culturalmente più facile riconoscere la violenza quando è visibile.

Si pensa che ci sia meno bisogno (e anche, si ricevono meno fondi) in ambito di potenziamento delle donne, di supporto alle loro attività imprenditoriali, di sostegno nella crescita professionale, che pure sappiamo essere difficilissima.

E quindi, in un paese in cui il 73% delle dimissioni viene richiesto (e ottenuto) da donne, in cui in media le dipendenti del settore privato guadagnano 8.000 euro in meno all’anno rispetto ai colleghi uomini, in cui il tasso di occupazione femminile rimane stabilmente circa 18 punti inferiore rispetto a quello maschile, in cui una madre su 3 si licenzia alla nascita del primo figlio ma anche in cui viene uccisa una donna ogni 3 giorni, noi finora abbiamo pensato che non ci servisse un fondo femminista.

La buona notizia? Che finalmente, anche in Italia, nasce il primo fondo femminista.

Si chiama Semia, si propone di occuparsi di tutte le persone adottando una prospettiva femminista e di farlo supportando le organizzazioni femministe intersezionali e rafforzandole. Con le parole di Miriam Mastria, Direttrice di Semia: «Finalmente anche il movimento femminista italiano ha il suo fondo: Semia si considera parte integrante e si pone come un’alleata del movimento, è una fondazione giovane, fatta di professioniste del terzo settore. Semia è al servizio delle realtà territoriali, a supporto materiale delle organizzazioni che si occupano dei diritti delle ragazze, le donne, le persone trans e non binarie, per l’autodeterminazione di tutte. Perché attraverso la libera espressione di ciascuna, si possa realizzare il progresso corale dell’intera società».

Da femminista, non posso che esserne entusiasta. E francamente, non vedo l’ora di vederlo all’opera.

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