Ambiente

Cop28: è record di lobbisti del fossile

Lo è 1 persona su 30 tra le accreditate a Dubai. Lanciata un’iniziativa sull’idrogeno sostenuta da 39 Paesi mentre la Global Cooling Pledge ha raggiunto le 60 firme
Credit: EPA/MARTIN DIVISEK  

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5 dicembre 2023 Aggiornato alle 18:00

Ve lo abbiamo anticipato stamattina: da oggi, a Cop28 si inizia a fare sul serio. Mentre ci approcciamo alla conclusione della prima settimana di conferenza, le negoziazioni per il Global Stocktake sono entrate nel vivo, e è stata resa pubblica la prima bozza del testo.

Sulla possibilità di includere il phase-out dei combustibili fossili nella decisione finale, Al Gore ha dichiarato ai microfoni di The Guardian che, se approvata, sarebbe “una grande notizia per l’umanità”.

Nel frattempo, arrivano nuove dichiarazioni sul fronte dell’energia, regina dell’agenda odierna.

Durante l’evento di alto livello organizzato dalla Presidenza degli Emirati sull’idrogeno, 39 Paesi che hanno firmato la Hydrogen Declaration of Intent al fine di accelerare la commercializzazione dell’idrogeno e sbloccare una serie di benefici socio-economici delle catene del valore transfrontaliere per l’idrogeno.

Il lancio di questa iniziativa ha due obiettivi principali: perseguire il riconoscimento reciproco degli schemi di certificazione dell’idrogeno, che coprono oltre l’80% del futuro mercato globale dell’idrogeno e dei suoi derivati e sviluppare una metodologia Iso che fornisca un benchmark globale per la valutazione delle emissioni di gas serra (Ghg) dei percorsi dell’idrogeno su base di analisi del ciclo di vita.

Nuove dichiarazioni arrivano da John Kerry, l’inviato speciale per il clima da Washington, che ha parlato in un panel della possibilità di produrre energia dalla fusione nucleare, a volte definita il Santo Graal dell’energia pulita. «Ci stiamo avvicinando sempre di più a una realtà alimentata dalla fusione», ha affermato.

Kerry ha poi aggiunto che questa potenziale fonte di energia, che creerebbe elettricità tramite reazioni di fusione nucleare, avrebbe il potenziale per “rivoluzionare il nostro mondo, cambiare tutte le opzioni di fronte a noi e fornire al mondo un’energia abbondante e pulita senza le emissioni dannose delle fonti energetiche tradizionali”.

A questo punto, la domanda che sorge spontanea è sempre la solita: perché esaltarsi per qualcosa che, de facto, ancora non esiste, e aspettare che la tecnologia ci salvi, invece che concentrarsi su investimenti sicuri, economicamente convenienti ed efficaci per la mitigazione come quelli in energia rinnovabile?

A Dubai, oggi si è parlato anche di climatizzazione. Sono stati presentati i risultati di un nuovo report dell’Unep Global Cooling Watch, Keeping it Chill: How to meet cooling demand while cutting emissions, secondo cui le emissioni di gas serra del settore del raffreddamento (ad esempio frigoriferi e condizionatori d’aria) raddoppieranno entro il 2050 ma potrebbero essere ridotte tra il 60 e il 96% con misure per ridurre il consumo energetico delle apparecchiature e la decarbonizzazione della rete elettrica.

In base alle attuali tendenze di crescita, le apparecchiature per il raffreddamento rappresentano oggi il 20% del consumo totale di elettricità e si prevede che raddoppieranno entro il 2050.

Il rapporto è stato pubblicato a sostegno della Global Cooling Pledge, un’iniziativa congiunta della Presidenza emiratina e della Cool Coalition (co-autrice del report Unep), e che oggi ha raggiunto le firme di 60 Paesi decisi a impegnarsi nel ridurre le emissioni legate al raffreddamento del 68% entro il 2050. Tuttavia, non ci si aspetta che l’India aderisca. Questo potrebbe compromettere l’efficacia di questa iniziativa: il mercato degli apparecchi di condizionamento dell’aria nel Paese sta crescendo più rapidamente che quasi ovunque altro al mondo.

Basti pensare che tra l’8% e il 10% delle circa 300 milioni di famiglie del Paese - che ospita 1,4 miliardi di persone - ha un condizionatore d’aria, e che questo numero, secondo le proiezioni del governo, è destinato ad aumentare fino al 50% entro il 2037. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, se ciò dovesse verificarsi, la quantità di energia impiegata dall’India per la climatizzazione supererebbe il consumo totale di energia di tutto il continente africano entro il 2050.

I veri protagonisti della giornata di oggi, però, sono i lobbisti del fossile. Secondo un dato calcolato dal gruppo Kick Big Polluters Out (Kbpo), almeno 2.456 lobbisti dei combustibili fossili hanno ottenuto accesso alle negoziazioni di quest’anno.

Un numero record, che solleva ulteriori domande sull’influenza dell’industria Oil & Gas a questa Cop e che è quadruplicato rispetto a quello della Cop27 di Sharm el-Sheikh.

Non finisce qui: messi insieme, i lobbisti affiliati alle più grandi aziende petrolifere e del gas (tra cui figurano Shell, Total, ExxonMobil e anche Eni), superano in numero ogni delegazione di paesi tranne il Brasile (3.081), che ospiterà Cop30, e gli Emirati, che hanno registrato 4.409 partecipanti. E ancora, tanto per mettere le cose in prospettiva: rispetto ai lobbisti del fossile, i delegati provenienti dai 10 Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico (tra cui Somalia, Chad, Tonga, Isole Solomon) hanno ottenuto una quantità inferiore di pass, raggiungendo appena 1.609 unità.

Se è vero che arrivati a questo punto è davvero difficile rimanere sopresi, vale la pena citare un ultimo dato, evidenziato da Nina Lakhani, inviata a Dubai per The Guardian, per valutare quanto la credibilità di questi negoziati sia stata compromessa da un conflitto di interessi che appare, giorno dopo giorno, sempre più inequivocabile: a Cop28, quest’anno, 1 persona su 30 presente ai negoziati è un lobbista affiliato all’industria dei combustibili fossili.

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