Ambiente

Cop28: arriva la richiesta di una tassa da 25 miliardi per i Paesi petroliferi

Gordon Brown, ex leader ed economisti hanno inviato una lettera ai presidenti di Cop28 e G20 per chiedere un prelievo dalle entrate dei Petrostati e contribuire così al fondo Loss & Damage per le nazioni più povere e colpite dalla crisi climatica
Gordon Brown, ex Primo ministro Uk
Gordon Brown, ex Primo ministro Uk Credit: Tayfun Salci/ZUMA Press Wire.    

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29 novembre 2023 Aggiornato alle 18:00

In questi giorni il sultano degli Emirati Arabi Sultan Al Jaber ha ricevuto una lettera in qualità di presidente della Cop28 al via a Dubai, oltre che capo della compagnia petrolifera nazionale. La stessa missiva è arrivata al presidente del G20, il leader brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. La firma è di una cordata di economisti e politici che hanno ricoperto ruoli importanti a livello mondiale, guidati dall’ex premier del Regno Unito Gordon Brown.

La lettera porta con sé un contenuto importante. Propone una sorta di tassa, un prelievo di 25 miliardi di dollari calcolato sulle entrate degli Stati petroliferi sia per rimediare ai problemi causati sul piano del clima, specialmente a scapito delle persone meno abbienti e più vulnerabili del pianeta, sia per contribuire al mantenimento del fondo riservato alle perdite e ai danni, destinato soprattutto alle nazioni più povere e più colpite.

La potenza del messaggio è amplificata da almeno due fattori.

Prima di tutto la missiva non è partita in un momento casuale: è stata spedita proprio alla vigilia della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma da giovedì 30 novembre a martedì 12 dicembre 2023 e ospitata nella terra di Sultan Al Jaber.

In secondo luogo mostra in calce settanta firme pesanti da parte di altrettante personalità internazionali, ben venticinque dei quali sono stati primi ministri e presidenti.

Tra loro figura anche l’ex segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, giusto per fare un nome.

L’idea che sta dietro alla proposta è la seguente: in questi anni i Paesi produttori di petrolio hanno ottenuto profitti eccezionali e quindi non sarà difficile per loro rinunciare a una minima parte della ricchezza acquisita per compensare i disastri climatici.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, come ricorda la lettera, nel 2019 - appena prima che scoppiasse la pandemia dovuta al Covid-19 - i ricavi legati allo sfruttamento del petrolio ammontavano a 1,5 trilioni di dollari.

Poi nel 2022 hanno stabilito il record di 4 trilioni, una cifra difficile anche solo da immaginare. È stato quindi calcolato che il prelievo sui paesi produttori di combustibili fossili rappresenterebbe solamente il 3% delle entrate petrolifere e del gas dei più grandi Petrostati del mondo.

Brown ha dichiarato al Guardian: «Lo stallo sui finanziamenti per il clima deve essere superato se si vuole che la Cop28 abbia successo. Dopo più di un decennio di promesse non mantenute, una tassa sul petrolio e sul gas da 25 miliardi di dollari pagata dagli stati petroliferi e proposta dagli Emirati Arabi Uniti come presidente della Cop darebbe il via ai finanziamenti per la mitigazione (intesa come riduzione delle emissioni, ndr) e l’adattamento nel sud del mondo. Ma tutti i principali attori storici e attuali devono sedersi al tavolo con garanzie e sovvenzioni se si vuole raccogliere 1 trilione di dollari all’anno, necessari per lo sviluppo e il finanziamento del clima nel sud del mondo».

Talvolta si potrebbe pensare che il grosso degli introiti finisca nelle casse delle compagnie private del settore, che in realtà in alcuni casi hanno già pagato dazi extra sui loro profitti straordinari. Ma in realtà le loro entrate rappresentano soltanto il 15% del totale. La lettera sottolinea che i maggiori beneficiari sono stati di gran lunga i principali Stati produttori, avendo accumulato 973 miliardi di dollari di proventi grazie alle esportazioni, con un aumento di 381 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente.

Tra i compiti chiave della Cop28 ci sarà proprio questo: provare a trovare un modo per riuscire a rimpinguare il fondo per le perdite e i danni. Poche nazioni infatti si sono già fatte avanti. Intanto mancano all’appello centinaia di miliardi. La partecipazione a questi finanziamenti inoltre potrebbe risultare fuori dalla portata dei governi dei Paesi in via di sviluppo. Alla luce della situazione, una possibile soluzione potrebbe stare nel cercare le fonti di reddito mancanti altrove, tra chi contribuisce in vari modi alla crisi climatica, a partire dalle tasse sul trasporto marittimo internazionale e sui frequent flyer.

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