Ambiente

Cop28: scatta il divieto alla protesta?

Durante un convegno ad Abu Dhabi gli organizzatori hanno invitato i partecipanti a “non protestare” e non criticare il Governo. Gli attivisti temono che la Conferenza sul clima di Dubai venga privata di democrazia
Credit: EPA/ALI HAIDER
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4 aprile 2023 Aggiornato alle 07:00

Il paradosso è che più aumentano gli allarmi sulla crisi del clima più le conferenze mondiali decisive per le sorti climatiche del Pianeta rischiano di trasformarsi in luoghi in cui è vietato far sentire la propria voce.

Già lo scorso anno a novembre a Sharm El-Sheikh durante la Cop27 era emersa tutta la criticità di svolgere una Conferenza delle parti in uno stato come l’Egitto: qualunque forma di dissenso, in un contesto controllatissimo e sorvegliato a ogni costo, era apparsa fin da subito vietata.

Ai manifestanti per il clima, l’unico spazio concesso era una sorta di recinto nel deserto.

Le sole manifestazioni di protesta andate in scena furono quelle all’interno dello spazio Cop, un territorio sotto il controllo dell’Onu. Ora, anche alla Cop28, prevista per fine anno a Dubai, si temono le stesse identiche dinamiche.

Nella già discussa Conferenza delle parti sul Clima che sarà presieduta da un petroliere, il sultano Al-Jaber, potrebbe essere decisamente complessa ogni forma di corteo, manifestazione, cartello o qualsivoglia protesta per far capire ai potenti (e soprattutto agli Emirati del petrolio) per esempio l’urgenza di una immediata azione per il clima.

Di recente infatti a una conferenza che si è tenuta ad Abu Dhabi, intitolata Forecasting Healthy Futures, gli organizzatori hanno invitato i partecipanti a “non protestare” e “non criticare la società, l’Islam, il Governo degli emirati Arabi Uniti o singoli individui”. Il tutto, in nome delle “leggi dello stato del Golfo”.

Un avvertimento preciso che oggi allarma gli attivisti e gli ambientalisti di tutto il mondo in vista della Cop28.

Oltretutto il Financial Times ha visionato una nota della guida per i presenti in cui veniva ribadito che “comprendiamo che il cambiamento climatico può essere un argomento controverso e accogliamo con favore tutte le prospettive e le opinioni nei discorsi civili durante l’agenda del programma. Protestare è illegale negli Emirati Arabi Uniti e qualsiasi caso di protesta dirompente sarà gestito dalle autorità locali”, a ribadire una sorta di divieto di forme di dissenso.

Ma mentre gli scienziati dell’Ipcc continuano ad avvertirci che la finestra per limitare il surriscaldamento globale a 1,5° si sta chiudendo, lo svolgimento delle Conferenze sul clima apre a sempre più interrogativi: prima gli sponsor legati a industrie inquinanti, poi la partecipazione dei leader arrivati su jet responsabili di emissioni climalteranti, oppure la presenza aumentata di lobbisti delle industrie fossili, e ora dopo l’Egitto anche negli Emirati i divieti di protesta.

Per i gruppi ambientalisti tutto ciò è “profondamente preoccupante”.

Due anni fa, nella Cop26 di Glasgow in Scozia, ci furono circa 100.000 persone in corteo per protestare contro l’inazione dei leader mondiali nell’affrontare la crisi climatica.

Quelle proteste contribuirono a dare il giusto peso e la necessaria pressione affinché si trovassero nuovi accordi nelle stanze dei bottoni. Ora, senza possibilità di proteste e manifestazioni, alle conferenze arabe sembra mancare un processo decisivo in termini di spinta a fare di più, ovvero quello della democrazia e dell’opinione di giovani, attivisti e cittadini.

Nel tentativo di evitare polemiche, gli organizzatori del Forecasting Healthy Futures hanno spiegato che c’è stato semplicemente “un eccesso di cautela in modo indipendente fornendo una guida che copra l’interpretazione più ampia del codice penale degli Emirati Arabi Uniti che disciplina la diffamazione”.

Eppure, come ha detto Cherelle Blazer, direttrice senior del Sierra Club, uno dei principali gruppi ambientalisti statunitensi, i membri dei gruppi della società civile devono poter partecipare alle conferenze negli Emirati come la Cop nonostante si tenga in “un luogo ostile alle proteste”. Cop da cui fanno sapere che la conferenza “adotterà un approccio inclusivo che coinvolga tutte le parti interessate del settore pubblico e privato, della società civile, della comunità scientifica, delle donne e dei giovani” e “accoglierà con favore dialoghi inclusivi e costruttivi che facilitino la creazione di consenso per promuovere un clima ambizioso esiti”, senza però specificare se il dissenso e le proteste saranno o meno possibili se non “in spazi sicuri dove tutte le voci possono essere ascoltate” che tanto ricordano quelli nel deserto egiziano.

Decisivo, nel permettere o meno le proteste per esempio all’interno dei padiglioni, sarà dunque il ruolo dell’Onu che è di fatto padrone di casa della Conferenza.

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