Futuro

Come l’intelligenza artificiale cambierà il mondo del lavoro

Negli ultimi 10 anni sono state condotte numerose ricerche sul binomio AI-professioni: sempre più studi mostrano come l’impatto potrebbe essere meno grave del previsto
Credit: Sharan Pagadala 
Tempo di lettura 5 min lettura
27 novembre 2023 Aggiornato alle 08:00

L’intelligenza artificiale sta impattando sulle nostre vite e le ripercussioni sul mercato del lavoro sono ormai certe. Già nel 2013, gli studiosi Carl Frey e Micheal Osborne sostenevano che il 47% dei posti di lavoro americani erano a rischio di automazione. Da questo studio è sorto un dibattito pubblico ancora oggi in corso e sono state compiute molte ricerche in materia.

La previsione degli analisti di Goldman Sachs stima che l’AI potrebbe condizionare fino a 300 milioni di lavori full time, esponendoli a qualche forma di automazione. Secondo uno studio del Parlamento europeo, il 14% dei posti di lavoro nei Paesi Ocse sono automatizzabili e un ulteriore 32% dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali.

Le prime 3 fasce di lavoro per rischio di automazione sono gli agricoltori di sussistenza, gli artigiani e gli addetti alla stampa e i lavoratori del settore manifatturiero: si tratta di occupazioni in cui la (lamentata) scarsa formazione professionale, le ridotte richieste di comunicazione con l’esterno e il legame con attività prettamente tecniche e di routine accentuano la probabilità di automatizzare il processo lavorativo.

Tuttavia, la sostituzione di alcuni ruoli e funzioni verrà bilanciata dalla creazione di nuovi posti di lavoro utili a gestire e guidare la rivoluzione digitale. L’impatto sull’occupazione potrebbe rappresentare persino un’opportunità per cambiare la qualità dei posti, in particolare sotto il profilo dell’intensità e dell’autonomia. Di questa opinione sono diversi studi “ottimisti”: secondo una recente analisi di Goldman Sachs, l’adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe “portare a un aumento del 7% o quasi 7 trilioni di dollari del Pil globale annuo in un periodo di 10 anni”.

Come dimostra uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), l’intelligenza artificiale generativa (di testi, immagini, musica) potrebbe creare molti più posti di lavoro di quanti se ne perderebbero. La maggior parte dei settori industriali sono solo parzialmente esposti all’automazione: è più probabile che il lavoro venga integrato, anziché sostituito dalle AI generative come ChatGPT e Bard.

Studi accademici indicano un aumento di 3 punti percentuali nella crescita annuale della produttività del lavoro nelle aziende che adottano la AI, che significherebbe un enorme aumento dei redditi accumulati nel corso di molti anni.

Uno studio pubblicato nel 2021 da Tom Davidson di Open Philanthropy attribuisce una probabilità superiore al 10% di una “crescita esplosiva” (definita come aumento della produzione globale di oltre il 30% all’anno) in questo secolo grazie all’AI.

E l’impatto sulle condizioni di lavoro? Per i lavoratori con competenze complementari all’AI, grazie all’”effetto produttività”, l’evoluzione delle mansioni dovrebbe essere accompagnata da un incremento dei salari, che potrebbero al contrario diminuire per chi svolge ruoli automatizzabili (effetto di sostituzione), con il rischio di accentuare ulteriormente le disuguaglianze nelle retribuzioni.

In particolare, diverse ricerche hanno concluso che i ruoli altamente qualificati hanno beneficiato di migliori prospettive occupazionali dopo l’introduzione dell’AI, mentre al contrario i lavoratori poco qualificati potrebbero trovare maggiori difficoltà a trovare un impiego. A livello europeo, dati Ocse/Eurostat mostrano l’Italia fortemente svantaggiata, dal momento che figura come il Paese europeo più esposto all’automazione (30,1% dei posti di lavoro).

Tra i Paesi Ocse dell’Unione, l’adozione dell’AI da parte delle imprese varia dal 23% in Irlanda, al 12% e 11% di Finlandia e Danimarca, fino al 3% di Ungheria e Slovenia e il 2% in Lettonia.

Nonostante tutto, dunque, siamo ancora lontani dalla transizione digitale vera e propria, ma occorre non sottovalutare le decisioni politiche in merito. L’Ilo, alla fine del proprio studio mette in guardia: “Gli impatti socioeconomici dell’AI generativa dipenderanno in gran parte da come verrà gestita la sua diffusione, sostenendo la necessità di progettare politiche che saranno fondamentali per gestire la transizione e sostengano una transizione ordinata e equa. Senza adeguate politiche c’è il rischio che solo alcuni dei paesi sviluppati saranno in grado di sfruttare i benefici della transizione, mentre i costi per i lavoratori interessati al cambiamento potrebbero essere drammatici. Pertanto, per i decisori politici, il nostro studio non dovrebbe essere letto come una voce rassicurante, ma piuttosto come un appello a sfruttare la politica per affrontare i cambiamenti tecnologici che ci attendono”.

Politiche di integrazione del processo appaiono dunque fondamentali per evitare conseguenze drammatiche sull’occupazione. Sarà nei prossimi anni che assisteremo allora, all’impatto dell’AI nel mercato del lavoro.

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