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I ragazzi e le ragazze italiane non sanno benissimo l’inglese

Il nuovo report di Education First sulla conoscenza della lingua pone l’Italia al 35esimo posto a livello globale. A preoccupare sono soprattutto i giovani, meno preparati rispetto a qualche anno fa
Credit: FreePik 
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 dicembre 2023 Aggiornato alle 20:00

I giovani sanno poco l’inglese. Sembrerebbe impossibile considerando l’enorme mole di contenuti di cui fruiscono giornalmente, spesso in inglese appunto, sulle diverse piattaforme, e gli scambi lessicali internazionali che scaturiscono da essi.

Eppure la tecnologia, le canzoni e le serie tv in lingua originale non sembrano sufficienti per colmare una lacuna già nota da tempo.

Almeno secondo Education First, che ha reso noti i risultati del suo report annuale sulla conoscenza dell’inglese a livello globale, basato sulle competenze di oltre due milioni di persone non madrelingua, appartenenti a 113 nazioni diverse, che hanno sostenuto l’EF Standard English Test, il test gratuito largamente usato in tutto il mondo da privati, scuole, aziende e governi per valutazioni su larga scala.

Ciò che è emerso non è confortante. Il livello medio di conoscenza dell’inglese della popolazione mondiale rimane sostanzialmente invariato dal 2011 ma si tratta di un’illusione di stabilità, che viene meno se si osserva la questione più nel profondo. Ai progressi di alcuni Paesi, infatti, spesso fanno da contraltare le flessioni di altri e anche là dove la conoscenza dell’inglese avanza, non lo fa per tutte le fasce di popolazione, determinando un accesso non uniforme a opportunità di studio o lavoro. «L’inglese è essenziale per condividere le prospettive e stimolare la comprensione e, in quanto lingua ponte, esso si trova in una posizione unica per connettere le persone attraverso i confini», ha sottolineato Kate Bell, autrice dell’analisi.

L’Italia nella classifica globale della padronanza della lingua si piazza al 35esimo posto insieme a Spagna e Moldavia, mentre in quella europea al 26esimo su 34 nazioni coinvolte. In testa alla graduatoria si trovano i Paesi Bassi, seguiti da Singapore e Austria. Ultimi Yemen, Tagikistan e Repubblica Democratica del Congo.

Un risultato, quello italiano, non certo entusiasmante, che conferma quanto emerso anche da un altro studio recente, realizzato dal sito di data journalism Truenumbers, secondo il quale solo il 19,7% degli italiani in possesso di un diploma parla fluentemente l’inglese.

Dall’indagine di Education First la regione più virtuosa è il Friuli Venezia Giulia, mentre quella più in difficoltà la Calabria. Tra le città, Padova è quella dove si parla meglio inglese e Napoli dove lo si conosce peggio.

A preoccupare particolarmente però è la situazione dei giovani. La fascia d’età compresa tra i 18 e i 20 anni, infatti, registra a livello globale un calo della conoscenza dell’inglese (-89 punti dal 2015), con alcuni Paesi stabili e altri in flessione. Tra questi ultimi anche il nostro, dove l’unica curva discendente negli ultimi anni riguarda proprio questa fascia d’età.

Una criticità dovuta molto probabilmente alla pandemia e all’interruzione o ridimensionamento dei sistemi educativi durante quel periodo, che ne ha rallentato l’apprendimento.

Secondo il report non è chiaro se la curva discendente invertirà la propria rotta nel tempo, a fronte di una ripresa della didattica, ma nel frattempo è necessaria una riflessione, anche perché risulta in aumento anche il divario di genere. A livello globale migliora infatti l’inglese nelle persone di sesso maschile, (+14 punti dal 2014), ma cala in quello di sesso femminile (-19 punti).

Sebbene la maggior parte dei Paesi non presenti un divario significativo tra i sessi, tra quelli dove esiste, 38 favoriscono gli uomini e solo 5 le donne. Anche se la colpa potrebbe essere istintivamente data al mondo del lavoro, il cui accesso è globalmente garantito a un numero maggiore di uomini, non sembrerebbe così, visto che il divario di genere tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni è tre volte più ampio di quello tra gli adulti che lavorano. Questo, come si legge nel rapporto, “indica un problema generato dagli stessi sistemi educativi o un problema sociale che le scuole non riescono ad affrontare”.

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