Ambiente

Il clima, l’ambiente e il costo della guerra (e della pace)

Le armi mietono vittime non solo durante i conflitti visto che le emissioni di gas serra attribuite all’industria bellica, in battaglia e non, sono altissime. Senza la presunzione di poterle eliminare del tutto, sarebbe comunque il momento di parlarne
Credit: Jon Tyson
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18 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Aspettando la prossima Cop 28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà per due settimane a Dubai a partire dal prossimo 30 novembre, uno dei temi che si vorrebbero sul tavolo è la rendicontazione di quanto le forze armate di ogni Paese influiscano sull’ambiente in termini di produzione di anidride carbonica.

Il peso della macchina bellica sulle emissioni di gas serra è stato volutamente tenuto fuori negli accordi di Kyoto nel 1997 ed è poi divenuto opzionale negli accordi di Parigi del 2015. Su tale silenzio, frutto delle pressioni delle lobby delle armi, da sempre molto potenti non solo negli Stati Uniti ma anche altrove, c’è da osservare che una certa generale riluttanza può essere compresa, stante le ricadute che la conoscenza dei dati possono avere in termini di sicurezza nazionale.

Il tema è complesso e merita alcune precisazioni. Abituati ormai all’orrore della guerra in diretta e ai video pubblicati anche da quotidiani che riportano gli scontri tra forze militari come fossero delle mere simulazioni o videogames, pensiamo spesso agli effetti devastanti della guerra solo in relazione a esplosioni, distruzioni, morti e feriti, senza volere considerare gli altri costi umani in termini di orrore e sofferenza.

Tuttavia, gli arsenali bellici e le forze armate hanno comunque di per sé un impatto anche senza che vi sia una guerra, dal momento che hanno una forte impronta biologica: basti pensare alle materie prime che consumano, agli arsenali nucleari e alla produzione di CO2 che essi implicano sia nella produzione dei sistemi d’arma sia nell’utilizzo anche solo a scopo di esercitazione (aerei ed elicotteri in volo, carri armati e navi in addestramento).

Non occorre attendere una guerra, quindi, per capire quale sia l’effetto nefasto che l’industria militare e le forze armate producono sul cambiamento climatico, con le conseguenze che ormai vediamo direttamente con i nostri occhi e sentiamo sulla nostra pelle, senza bisogno di televisione e giornali.

Per avere un’idea dell’impatto basta leggere un rapporto dei ricercatori di Common Wealth e di Climate + Community Project di questo mese, relativamente alle forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito, che fornisce cifre impressionanti: dagli accordi di Parigi (2015) a oggi le forze armate dei due Paesi avrebbero prodotto almeno 430 milioni di tonnellate di CO2, quanto l’intera produzione di CO2 del Regno Unito nel 2022.

Il rapporto si limita a queste due nazioni, ma si può immaginare che esse non siano le sole in tale non encomiabile primato.

Che fare allora? La logica vorrebbe che tutti gli Stati si impegnino a rallentare la produzione di armi e anzi a diminuirle drasticamente, ma questa soluzione appare difficile se non quasi impossibile, visto quel che accade ogni giorno nel mondo, dai conflitti sotto il riflettore dell’opinione pubblica del momento a quelli spesso dimenticati, basti pensare al Sudan ormai scomparso dalle nostre antenne e che pure continua a mietere stragi di civili non meno cruente da quel che vediamo in questi giorni in Palestina e nella nostra Europa.

Né, sebbene ami la pace, credo che disarmi unilaterali possano essere la soluzione. Senza ricorrere al latino “si vis pacem, para bellum” (se vuoi la pace preparati alla guerra), per esprimere l’efficacia dissuasiva che le armi possono avere, basta parafrasare Edgar Lee Master nell’Antologia di Spoon River: questo è l’amaro della vita che per essere in pace bisogna essere in tutti a volerla.

Operazioni di trasparenza potrebbero però aiutare a comprendere che gli arsenali militari e quanto ruota intorno a essi mietono vittime anche all’altro capo del mondo e hanno costi sociali insostenibili senza che sia esploso un colpo.

Allora non ci resta che sperare che la Cop 28 che parte zoppa per varie ragioni, a iniziare dal conflitto d’interessi derivante dalla sua guida, riesca almeno a impegnare tutti gli stati alla rendicontazione sull’impatto degli arsenali militari e delle forze armate sull’ambiente e sul clima per capire che le armi uccidono anche quando sono scariche.

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