Ambiente

6 fattori che potrebbero portarci all’estinzione

L’Università delle Nazioni Unite con il nuovo rapporto Interconnected Disaster Risks 2023 mette in guardia i leader della Terra sull’impatto devastante che sta avendo l’umanità sul Pianeta
Credit: Dynamic Wang  

Tempo di lettura 6 min lettura
6 novembre 2023 Aggiornato alle 08:00

A a un mese dalla Cop28, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, anche l’Università delle Nazioni Unite - United Nations University - che si occupa di fare ricerca su questioni che rientrano nelle aree di interesse dell’Onu; torna sul tema con il rapporto Interconnected Disaster Risks 2023.

Gli esperti hanno analizzato sei “punti di non ritorno”, che rappresentano un rischio imminente per la salvaguardia del nostro Pianeta.

L’incipit della ricerca inizia asserendo che gli esseri umani spesso pensano che i processi siano “semplici e prevedibili”.

Tuttavia, non pensiamo molto alla provenienza dell’acqua e spesso non siamo consapevoli dei molti processi sottostanti che avvengono prima che l’acqua arrivi a noi.

Questo ci fa capire poco l’effetto del nostro utilizzo sugli altri componenti del sistema o il rischio che un giorno la fonte della nostra acqua possa scomparire.

Il nostro mondo è costituito da sistemi in cui le singole parti interagiscono tra loro: sistemi idrici, sistemi alimentari, sistemi di trasporto, sistemi informativi, ecosistemi.

Nel corso del tempo, le attività umane hanno reso questi sistemi sempre più complessi, sia attraverso catene di approvvigionamento globali, reti di comunicazione, commercio internazionale e altro ancora. Man mano che queste interconnessioni si rafforzano, offrono opportunità di cooperazione e sostegno globale, ma ci espongono anche a maggiori rischi e a spiacevoli sorprese, in particolare quando le nostre stesse azioni minacciano di danneggiare un sistema.

Quali sono i sei punti di non ritorno?

I punti di non ritorno riguardano la crisi climatica e il destino del nostro Pianeta.

Il primo punto riguarda l’accelerazione delle estinzioni: l’estinzione fa parte del processo evolutivo che ha plasmato la vita sul pianeta e spesso procede lentamente nell’arco di migliaia o milioni di anni.

Purtroppo, attraverso intense attività umane come il cambiamento di destinazione d’uso dei terreni, l’eccessivo sfruttamento, il cambiamento climatico, l’inquinamento e l’introduzione di specie invasive, “abbiamo messo il piede sull’acceleratore dell’estinzione”.

L’attuale tasso di estinzione delle specie è almeno tendenzialmente centinaia di volte superiore al normale a causa dell’influenza umana, con conseguenze drastiche per tutta la vita sul nostro Pianeta.

Al secondo e terzo punto troviamo l’impoverimento delle acque sotterranee e lo scioglimento dei ghiacciai di montagna: le acque sotterranee sono una risorsa essenziale di acqua dolce immagazzinata in serbatoi sotterranei chiamati “acquiferi”.

Queste falde forniscono acqua potabile a oltre 2 miliardi di persone e circa il 70% dei prelievi viene utilizzato per l’agricoltura.

Tuttavia, 21 delle 37 principali falde acquifere del mondo si stanno esaurendo più velocemente di quanto possano essere reintegrate.

Si stima che una vasta ed eccessiva estrazione dalle montagne in Arabia Saudita, abbia esaurito oltre l’80% della falda acquifera, spingendo il governo saudita ad annunciare il raccolto di grano del 2016 come l’ultimo.

Ora, per sfamare gli oltre 30 milioni di abitanti del Paese, l’Arabia Saudita deve affidarsi a colture importate da altri Paesi.

Per il quarto posto, ci spostiamo oltre l’orbita terrestre per parlare dei detriti spaziali: con l’aumento del numero di satelliti, aumenta anche il problema dei detriti spaziali, che rappresentano una minaccia sia per i satelliti funzionanti che per il futuro della nostra orbita.

I detriti spaziali sono costituiti da vari oggetti: minuscole macchie di vernice fino a enormi pezzi di metallo. Dei 34.260 oggetti tracciati in orbita, solo il 25% circa sono satelliti funzionanti, mentre il resto è spazzatura, come satelliti rotti o stadi di razzi dismessi: ogni detrito diventa un ostacolo nell’“autostrada” orbitale, rendendo sempre più difficile per i satelliti funzionali evitare le collisioni.

Al quinto posto, troviamo il caldo insostenibile: attualmente, le “temperature “a bulbo umido” hanno superato questa soglia critica in almeno due stazioni meteorologiche, una nel Golfo Persico e una nel bacino del fiume Indo. Jacobabad, in Pakistan, nota come una delle città più calde del Pianeta, ha registrato questo evento almeno due volte dal 2010.

Sebbene questi casi siano stati limitati a poche ore ciascuno, la loro frequenza è in aumento.

Attualmente, circa il 30% della popolazione globale è esposto a condizioni climatiche mortali per almeno 20 giorni all’anno, e questo numero potrebbe salire a oltre il 70% entro il 2100.

Come ultimo punto, si parla di un prossimo futuro non assicurabile ovvero l’impossibilità di assicurarsi contro le calamità naturali: con l’aumentare della frequenza e della gravità degli eventi meteorologici estremi in tutto il mondo, è aumentato anche il costo dei danni che essi provocano.

Nei luoghi in cui gli eventi meteorologici estremi sono sempre più frequenti, i proprietari di case hanno visto i prezzi salire fino al 57% dal 2015, e le persone faticano a permettersi una copertura.

Nel frattempo, di fronte all’aumento delle perdite, alcune compagnie assicurative delle aree a rischio hanno deciso di limitare l’importo o il tipo di danni che possono coprire, di cancellare le polizze o di abbandonare del tutto il mercato.

Una volta che l’assicurazione non è più offerta contro certi rischi (accessibilità), in certe aree (disponibilità) o a un prezzo ragionevole per i proprietari di casa (accessibilità economica), queste aree sono considerate “non assicurabili”.

In Australia, per esempio, si prevede che entro il 2030 circa 520.940 abitazioni non saranno assicurabili, soprattutto a causa dell’aumento del rischio di inondazioni.

Cosa possono fare i governi?

Il report fornisce anche spunti di riflessione e azione sulle soluzioni a questi punti di non ritorno che l’equipe dello studio prevede portino a una catastrofe ambientale e sociale. È innanzitutto necessario un cambio di paradigma di pensiero, ovvero cambiare il modo di pensare alle possibili soluzioni dato che, le soluzioni attuali, sono focalizzate a ritardare i possibili impatti, senza proporre delle vere e proprie trasformazioni.

Le soluzioni si dividono in due categorie principali: le soluzioni per evitare questi danni permanenti, ovvero quelle che mirano alle cause principali e ai fattori di rischio per evitare del tutto il superamento dei punti critici.

Le soluzioni di adattamento, invece, sono quelle che ci aiutano a prepararci o ad affrontare meglio gli impatti negativi dei punti critici di rischio nel caso in cui non possano essere evitati, e cercano di adattarsi ai cambiamenti che ne derivano nel tentativo di conviverci.

Sebbene esistano soluzioni promettenti in ciascuna categoria, queste dovrebbero essere utilizzate in combinazione con soluzioni di altre categorie per superare gli ostacoli all’attuazione e ottenere il risultato migliore: ”se vogliamo cambiare la nostra traiettoria allontanandoci da un futuro di rischi moltiplicati e a cascata, dobbiamo passare alla trasformazione dei nostri sistemi per renderli più sostenibili”.

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