Economia

Le preoccupazioni sbagliate

Mentre gli analisti si preoccupano perché calano i consumi, noi ci chiediamo: non sarà arrivato il momento per un nuovo capitalismo?
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Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
31 ottobre 2023 Aggiornato alle 06:30

Insomma, dire che sta andando tutto bene, in questo periodo, non mi sembra proprio una rappresentazione corretta della realtà.

Ma quello che invece possiamo affermare, dati alla mano, è che le cose stanno andando molto bene per il Pil statunitense, che nel bel mezzo di questo marasma infernale che è il mondo in questa congiuntura storica, nel terzo trimestre del 2024 ha registrato un incremento del 4,9%.

E indovinate un po’ chi cresce? A comunicare i propri risultati è stata circa la metà delle grandi imprese quotate in borsa nello Standard & Poor 500 Index (ovvero, le 500 maggiori imprese per capitalizzazione) e il 78% di loro ha dichiarato non solo di aver raggiunto, ma di aver perfino superato le proprie aspettative di profitto.

Eppure, gli analisti sono preoccupati, perché i consumatori spendono troppo poco.

Pare che l’utilizzo delle carte di credito e di debito negli ultimi mesi si stia contraendo. E infatti non sta andando bene proprio a tutti tutti.

Per esempio, il testosteronico Musk non se la sta vedendo benissimo: il prezzo delle Tesla si è ridotto del 15%, causando una contrazione di oltre 100 miliardi di dollari del valore di mercato del brand.

Le preoccupazioni sbagliate

Ora, pur essendo consapevole che potrò attirarmi l’ira di alcuni colleghi, ma siamo sicuri di poter continuare a preoccuparci perché i consumi non crescono infinitamente, come invece il modo di produzione capitalistico chi richiederebbe?

Ogni anno abbiamo a che fare con l’Earth Overshoot Day, ovvero con il giorno in cui finiamo le risorse dell’anno (quest’anno è stato il 2 agosto) e iniziamo a essere in “debito ecologico” con il Pianeta.

Produciamo troppo e male. Consumiamo troppo e male. Secondo il Global Hunger Index, anche se nel mondo si produce cibo a sufficienza per poter sfamare tutti gli 8 miliardi di persone che lo abitano, 828 milioni di persone soffrono la fame ogni giorno.

Di questi 828 milioni, il 40% fronteggia livelli di fame acuti. Quasi il 30% della popolazione mondiale (stiamo parlando di 2,3 miliardi di persone) non ha un accesso adeguato al cibo e 9 milioni di persone muoiono ogni anno per cause legate proprio alla fame. Di questi, molti sono bambini e bambine sotto i 5 anni.

Un capitalismo diverso?

Ecco, io non so se sia proprio dei consumi che dobbiamo preoccuparci in una prospettiva economica (per non parlare di quella geopolitica, della quale infatti non scrivo, non avendone le competenze).

Ma non riesco a non farmi una domanda. Sono vecchia abbastanza per sapere che non vedrò, con ogni probabilità, la nascita di un sistema alternativo di produzione e consumo. Ma che questo sistema qui si stia sgretolando è sotto gli occhi di tutti. Fa acqua da tutte le parti. E a rendersene conto sono molte persone.

È la fase delle grandi dimissioni e a lasciare il posto del lavoro non sono solo i dipendenti: sono perfino i Ceo.

Le persone in azienda spesso non sono più felici (ammesso che lo siano mai state davvero, ma tant’è).

Secondo l’osservatorio Bva Doxa-Mindwork del 2023, 3 lavoratori italiani su 4 hanno dichiarato di aver provato almeno uno dei sintomi del burnout. A 1 su 5 è stato proprio diagnosticato. Oltre 1 persona su 2, tra quelle che lascia il lavoro, lo fa per ragioni legate al proprio malessere psicologico.

Qualche giorno fa, Harvard Business Review, insieme a Mind Share Partners, ha pubblicato il Mental Health at Work Report.

L’urgenza di cambiare è avvertita dal 70% delle persone intervistate, che ha espresso la necessità di vivere in una cultura del lavoro più sana e più sicura, ma anche più sostenibile.

Alcuni consumatori stanno consumando di meno, è vero. Ma molti stanno iniziando a consumare in modo diverso, premiando quelle aziende che sono davvero impegnate nei temi di responsabilità sociale e collettiva come l’ambiente e le pari opportunità.

E se fosse davvero possibile un capitalismo diverso?

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