Ambiente

Le terre rare sono risorse sostituibili?

Secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Venezia sì. Ricorrendo a leghe formate da elementi come sodio, potassio, ferro e titanio
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18 ottobre 2023 Aggiornato alle 08:00

Cos’hanno in comune uno schermo del computer, una batteria ricaricabile, il display della tv, una turbina elettrica e un motore elettrico?

La risposta è nei materiali.

Si tratta delle cosiddette terre rare, diciassette elementi chimici essenziali per la produzione di componenti elettrici e, secondo alcuni, indispensabili per la transizione ecologica perché vengono utilizzate nella composizione di macchinari per le energie rinnovabili.

Sono elementi fondamentali anche per sviluppare tecnologie avanzate in ambito medico e aerospaziale, ma hanno un’ampia diffusione anche nella tecnologia militare.

Questi metalli costituiscono il gruppo dei lantanidi (dal greco “giacere nascosto”).

Sono tutti dotati di magnetismo resistente alle alte temperature. Si dividono in leggeri, medi e pesanti: i più disponibili e abbondanti sono quelli leggeri, i più limitati quelli pesanti. L’aggettivo “rare” deriva dal fatto che, appena scoperte, si pensava che fossero ridotte sulla crosta terrestre. Invece la denominazione “terre” è da ricercare nel processo di separazione: nella fase iniziale sono state estratte sotto forma di ossidi, che sia in tedesco (“Erde”) che in francese (“Terre”) si traduceva con l’equivalente di “terra”.

(in)Sostenibilità delle terre rare

Ad oggi il controllo di questi materiali è di dominio cinese e, a dispetto delle numerose applicazioni, il loro ciclo produttivo - da estrazione fino a utilizzo - è problematico su più fronti.

Primo fra tutti, il pesante inquinamento che avviene come effetto collaterale: il procedimento complesso e poco sostenibile di estrazione e lavorazione delle terre rare implica l’utilizzo di acidi e produce sostanze tossiche, a volte radioattive, che si disperdono nell’aria, nelle falde acquifere e nel suolo.

Pur essendo piuttosto abbondanti, la complessità di estrazione e separazione rende il processo anche molto costoso. Anche l’Unione europea si è interessata al tema, promuovendo una nota critica sull’importanza strategica e i futuri scenari - anche geopolitici - che interessano questi materiali.

Il processo di estrazione delle terre rare è poi equiparabile a quello dei cosiddetti materiali critici (il nichel e il cobalto sono i più noti) per condizioni di lavoro e sfruttamento. Infine, le terre rare sono impiegate in grande numero nell’industria bellica: per esempio, per ogni F35 servono circa 920 pounds di “terre rare”.

Sostituire le terre rare: l’obiettivo di un gruppo di ricercatori

«Non c’è un modo pulito di estrarre terre rare, ma con la ricerca possiamo trovare nuovi materiali, generando un forte impatto economico», ha dichiarato in una nota Stefano Bonetti, Ordinario di Fisica della Materia all’ Università Ca’ Foscari e rappresentante di Fondazione Rara ETS che sviluppa materiali sostenibili e parte del team che sta cercando un’alternativa sostenibile alle terre rare.

Il team di ricerca, partito da Venezia, ha ipotizzato che si possano usare altri materiali, già presenti in natura ma più disponibili e meno impattanti, per sostituire le terre rare. Tra questi, il sodio, il potassio, il ferro e il titanio. Secondo Bonetti, a partire da questi elementi si possono creare delle leghe con le stesse proprietà delle terre rare.

Questa soluzione porrebbe fine ai processi estrattivi e di ricerca di nuovi giacimenti. La difficoltà maggiore è nel numero, quasi infinito, di possibilità: a questo scopo il team ha ideato un algoritmo per cercare e combinare i materiali dalle proprietà simili.

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