Diritti

Non rimuovere le barriere architettoniche nei condomini è discriminazione indiretta

Secondo la Corte di Cassazione la discriminazione indiretta è tale perché impedendo alla persona con disabilità di accedere alla propria abitazione la si pone in una posizione di svantaggio rispetto ai soggetti abili
Credit: Cottonbro studio 
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15 ottobre 2023 Aggiornato alle 06:30

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17138 del 15 giugno 2023 ha affermato che la società costruttrice e l’amministratore di condominio che non si attivano per far rimuovere le barriere architettoniche nonostante le plurime richieste da parte della persona con disabilità residente nell’edificio sono tenuti a risarcirlo a titolo di danno non patrimoniale per la discriminazione indiretta messa in atto nei suoi confronti.

La vicenda prende le mosse dalla domanda risarcitoria presentata in base alla legge n. 67 del 2006 (che contiene misure per la tutela delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) da un soggetto con disabilità con accertata invalidità civile del 100% per violazione del diritto ad accedere nell’edificio in cui era situato l’appartamento della sorella, con la quale conviveva stabilmente, stante la mancata rimozione delle barriere architettoniche.

La decisione risulta di particolare interesse per l’interpretazione estensiva della nozione di “discriminazione indiretta” contenuta nella summenzionata legge, secondo cui in sintesi questa tipologia di discriminazione può ritenersi sussistente quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, apparentemente neutri, pongono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ai soggetti abili.

Nella sentenza la Suprema Corte ha precisato che l’elencazione delle modalità con cui essa può esplicarsi prevista a livello normativo non può ritenersi né esaustiva né tassativa, in quanto l’elemento qualificante che connota la “discriminazione indiretta” è l’effetto che in concreto produce, vale a dire lo “svantaggio” del soggetto disabile rispetto al soggetto abile, di modo tale che l’accertamento deve necessariamente riguardare la condotta denunciata e lo svantaggio susseguente in un’ottica di stretta connessione.

Seppur en passant, nella sentenza è stato ribadito che nei giudizi instaurati in base alla legge 67 la persona con disabilità ricorrente beneficia di una parziale inversione dell’onera della prova, in quanto questi deve soltanto fornire elementi fattuali idonei a rendere plausibile l’esistenza della discriminazione, potendo quindi lasciare un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria, mentre la controparte dovrà dimostrarne l’insussistenza.

La Suprema Corte ha pertanto concluso affermando che possono certamente rientrare nell’ambito della “discriminazione indiretta” le barriere architettoniche ostacolanti l’accesso in un edificio qualora abbiano determinato - come accertato nel caso di specie - una condizione di svantaggio per il disabile - costituita dalla lesione del diritto a poter accedere e a potersi spostarsi dall’abitazione, ove era domiciliato, in maniera dignitosa - rispetto all’omologa situazione in cui si trovi la persona priva di disabilità.

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