Culture

Che cos’è la siccità culturale (e come si combatte)?

La definizione dell’Istat allude alla mancanza di offerte artistiche in alcune aree dell’Italia: nel 2021 colpiva 1.243 Comuni. Tra le cause: lo spopolamento e la mancanza di fondi
Credit: Cottonbro studio 
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12 ottobre 2023 Aggiornato alle 11:00

Per chi vive nelle grandi città è facile godersi un luogo d’arte, un festival o una biblioteca. Non lo è altrettanto per chi abita nei piccoli Comuni delle aree interne e rurali in “siccità culturale”.

L’espressione, coniata dagli esperti dell’Istat, allude alla mancanza di qualsiasi tipo di offerta culturale in alcune zone del Paese. Secondo i dati dell’Istituto di statistica, nel 2021 interessava 1.243 Comuni italiani e 1 milione e 600.000 persone.

Un terzo di queste aree “siccitose” si trova nel Sud Italia e ha un preciso identikit: sono centri piccoli e in via di spopolamento. C’è infatti un legame tra calo demografico e siccità culturale: nelle grandi città e nei centri meglio collegati alle metropoli la proposta è più ampia perché trainata da una richiesta maggiore.

La multiculturalità e la maggior concentrazione di scuole e servizi, in generale, sono elementi essenziali per lo sviluppo e la permanenza di cinema, biblioteche, musei ed eventi connessi. Tutti questi spazi nei piccoli paesi stanno via via chiudendo i battenti, complice l’emorragia demografica, che oggi riguarda 72 zone italiane e il 60% del territorio.

La siccità culturale non è dovuta solo al calo della popolazione. Stando ai dati Cpt (Conti pubblici territoriali), la spesa dello Stato, primo finanziatore del settore, è diminuita notevolmente nell’ultimo decennio. La situazione non migliora nelle Regioni e fa emergere un divario significativo. La Valle d’Aosta, prima in classifica, nel 2020 ha speso 1.343 Euro in cultura per ogni residente, un dato 10 volte superiore a quello della Lombardia (134) e 13 volte a quello della Calabria, ultima con 102 euro pro capite.

Se questi dati non lasciano ben sperare, una boccata di ossigeno arriva con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che destina risorse anche per la rigenerazione culturale dei piccoli centri. Secondo il portale Openpnrr, che monitora lo stato di attuazione del Piano, i progetti finanziati a oggi sono 2.954 e le risorse complessive ammontano a 823 milioni di Euro, con obiettivi da completare entro giugno 2025. Determinante è stata l’entrata in vigore del decreto del ministero della Cultura per l’assegnazione ai Comuni delle risorse destinate all’attrattività dei borghi.

È dal basso che si cerca di invertire la rotta contro la siccità culturale. In un piccolo Comune dell’entroterra calabrese, nel parco nazionale dell’Aspromonte, Michela Franco ha deciso di aprire un centro dedicato alla cultura; ha 25 anni, un diploma all’Accademia di belle arti nella vicina Reggio Calabria, e lavora a Cinquefrondi, suo paese di origine.

«Alla fine dell’anno scorso la cooperativa con cui ora gestiamo il centro ha partecipato a un bando per la riapertura della biblioteca comunale – dice Franco a La Svolta – Il sindaco mi ha consigliato di mettere a frutto la mia formazione, inserendomi in questo progetto». Oggi cura la biblioteca e, al suo interno, organizza corsi dedicati ai bambini e workshop di fotografia, scrittura e musica per gli adulti. Il centro è aperto ogni giorno ed è molto frequentato, a disposizione del paese e delle comunità vicine: «è un nostro piccolo orgoglio sentirci dire da chi ci incontra per strada che verrà a trovarci in biblioteca», aggiunge la giovane.

Il centro culturale di Cinquefrondi diventa così motore di altri eventi: un Festival di musica estivo, escursioni in Aspromonte con guide esperte. I finanziamenti sono in scadenza, e a dicembre Michela dovrà trovare nuovi fondi per proseguire. «Non ho intenzione di andare fuori per trovare lavoro, voglio fare quello che sto portando avanti adesso. In un modo o nell’altro troveremo una strada».

Per combattere la siccità culturale sembra essenziale una logica di rete, che coinvolga attivamente le amministrazioni locali, come sostiene anche Franco: «Il Comune ci è sempre stato di supporto, e si è creata una squadra tra l’amministrazione, la cooperativa e noi collaboratori». I Comuni sono i primi motori di trasformazione delle aree interne in luoghi di cultura ritrovata.

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