Il petrolio a 100 dollari riaccende il rischio inflazione

Continuano, a livello mondiale, le preoccupazioni sull’andamento dell’inflazione.
Nel corso degli ultimi tempi, l’attenzione si è incentrata anche sul prezzo del petrolio, che è in costante crescita.
Da giugno, il Brent ha registrato aumenti del 30%, arrivando a quota 95 dollari. In Italia, il costo della benzina ha superato i 2 euro al litro.
In un Paese come il nostro, nel quale la maggior parte della merce viaggia su gomma, l’aumento del costo del petrolio ha delle ripercussioni immediate su tutta la filiera produttiva. E ovviamente, sulle tasche dei consumatori.
Petrolio a 100 dollari: il rischio inflazione
Un prezzo del petrolio vicino ai 100 dollari riaccende il rischio inflazione. Il mercato del gas sta diventando volatile ed espone l’Europa a una serie di rischi crescenti: si avvicina l’inverno, momento in cui cresce il consumo, mentre l’offerta langue.
A condizionare il mercato del gas sono gli scioperi registrati negli impianti in Australia di Gnl, oltre alle continue manutenzioni che hanno portato a una riduzione dei flussi provenienti dalla Norvegia, flussi che proprio in questo periodo hanno registrato i minimi da dieci anni a questa parte.
Al momento, la situazione non si presenta grave come nel momento più buio della crisi energetica, che aveva raggiunto il suo apice, grosso modo, un anno fa. Comunque vada, le criticità registrate in quel periodo e l’impatto registrato dall’economia reale, in questo momento, non risultano ancora essere state superate.
Perché il prezzo del petrolio continua a salire
Una domanda che è lecito porsi è perché il prezzo del petrolio stia continuando a crescere. L’Opec e l’Agenzia Internazionale per l’Energia hanno sostanzialmente confermato che il fattore scatenante è il deficit del mercato del greggio. Ma a determinare gli aumenti sono diversi fattori, a partire dalla decisione dell’Arabia Saudita e della Russia di tagliare parte della produzione: una scelta che sta comportando un’importante riduzione dell’offerta. La domanda, però, al contrario di quanto si presupponesse, è stata meno debole del previsto.
Ad aver fame di petrolio non sono solo le economie occidentali (anche se le previsioni le vedono in recessione). La richiesta continua a rimanere robusta anche dalla Cina (e un incremento della domanda cinese rischia di far aumentare ulteriormente i prezzi).
Ma perché c’è un legame così stretto tra l’aumento del prezzo del petrolio e l’inflazione? Ricordiamo che con il termine inflazione si intende un aumento generalizzato dei prezzi relativi ai servizi e ai beni di una determinata economia.
Nel momento in cui il costo del petrolio continua ad aumentare, si innesca un effetto a catena e non solo perché le imprese dipendono da questa materia prima per le loro produzioni, ma anche perché i prodotti devono essere trasportati: se aumenta il prezzo del petrolio, aumenta quello dei carburanti.
Le aziende, per coprire questi costi aggiuntivi, devono aumentare i prezzi dei loro prodotti. Questo si riflette immediatamente nei prezzi al consumo, determinando l’aumento dell’inflazione.
In Italia, a esempio, come ha messo in evidenza più volte la Coldiretti, almeno l’88% delle merci viaggia su strada. L’aumento del costo del petrolio va a incidere direttamente su quanto paghiamo i prodotti che portiamo in tavola.
“A subire le conseguenze dei rincari - ha spiegato Coldiretti - è l’intero sistema agroalimentare, dove i costi della logistica arrivano a incidere attorno a 1/3 sul totale dei costi per frutta e verdura. Un effetto preoccupante, dopo che l’impennata dell’inflazione ha già pesato sul carrello degli italiani, che hanno speso quasi 13 miliardi in più per acquistare cibi e bevande nel 2022 a causa proprio dei rincari energetici e della dipendenza dall’estero, in un contesto di aumento dei costi dovuto alla guerra in Ucraina che fa soffrire l’intera filiera, dai campi alle tavole”.