Diritti

Dalla Russia con terrore

Gli obiettivi dell’agenda Onu 2030 - 17 - sono un numero sfortunato. Putin li ha firmati tutti, ma è in stato di amnesia. Ma se ci fossero le donne, a capo dei Paesi più potenti, come andrebbero le cose? E soprattutto, come possiamo vivere, mentre bombardano Kyïv?
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 3 min lettura
26 febbraio 2022 Aggiornato alle 07:00

Pace, giustizia e istituzioni forti. Era sembrato di leggere che tra gli obiettivi dell’agenda 2030 definiti dall’Onu e sottoscritti dalla Russia ci fosse questo capitoletto, al punto 16, che cita più o meno così: “Occorre ridurre ovunque e in maniera significativa tutte le forme di violenza e il tasso di mortalità a esse correlato, occorre garantire un pubblico accesso all’informazione e proteggere le libertà fondamentali e consolidare le istituzioni nazionali più importanti, anche attraverso la cooperazione internazionale, per sviluppare a ogni livello, in particolare nei paesi in via di sviluppo, capacità per prevenire la violenza e per combattere il terrorismo e il crimine”.

Ora. Ogni promessa - per alcuni - non è debito. Ma a cosa serve partecipare e dichiararsi a favore della sostenibilità quando si calpestano con efferatezza i diritti umani più basilari? C’è un senso di impunità nel volto di Putin che fa rabbia. In quel suo faccione liscio pieno di botulino e grasso si legge non solo finzione ma goliardia, spocchia, compiacimento. Putin sa che rimarrà impunito perché altrimenti scoppierebbe una terza guerra mondiale. E allora, si fa bello dei nuovi missili che s’è comprato, e costruito, e della propria capacità di violare l’Ucraina mentre noi, come bambini, assistiamo inermi.

Appena scoppiata la guerra, l’economista Azzurra Rinaldi rifletteva se sarebbe stato diverso, se le cose sarebbero andate diversamente, se al comando dei Paesi più potenti ci fossero donne. Se il sovranismo sia una “malattia” maschile, e se le dittature siano frutto di frustrazioni represse. Me lo sono domandata anch’io, soprattutto oggi, quando cominciamo a parlare di guerra economica, e del costo che avrà questa follia russa per tutti noi.

Eravamo prontə a consumare meno e produrre meglio, a quasi chiudere la questione PNNR, e prestiti con l’Europa, le banche e noi stessi, quando invece rieccoci qui, a dover fare sacrifici per un dittatore al comando. Uno che invitavamo in vacanza in Sardegna, a fare la bella vita. Uno coi conti correnti non solo nei paradisi fiscali, ma in Inghilterra, e certamente in Svizzera (a proposito, anche la Svizzera ha dichiarato che bloccherà i suoi conti o il suo silenzio si sta facendo imbarazzante).

E allora rieccoci, a ripensare l’approvvigionamento delle materie prime, e a ritornare a pensare di spendere, e spendere tanto, perché qualsiasi cosa faremo costerà cara, carissima, alle famiglie. E allora eccoci a bloccare lo Swift Code, quando la Cina gliene creerà uno bello nuovo, fatto a hoc, per rientrare nel mercato globale.

E rieccoci, ancora peggio, ripiombare nel disagio psicologico di una guerra - questa volta non una pandemia - che ci sta accanto e che, come il Covid, pensavamo non ci riguardasse finché non è arrivato e ci ha invaso non ci credevamo.

Si può continuare a vivere mentre bombardano Kyïv, si domanda Michela Murgia?

Dobbiamo provarci, come persone. Come giornale, stiamo cercando di capire quale possa essere l’impatto sull’ambiente, sui diritti e sull’economia del nostro Paese. Condividere le informazioni, in questo momento, e non il terrore, a mio parere, è già qualcosa.