Ambiente

Cosa ci insegna la strage di pinguini in Antartide

10.000 pulcini non hanno fatto in tempo a sviluppare le piume impermeabili. Appena il ghiaccio si è sciolto prematuramente a causa del surriscaldamento globale innescato dall’uomo, sono tutti morti
Credit: Pixabay
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25 agosto 2023 Aggiornato alle 20:00

Nati da pochissimo e già morti per l’effetto della crisi del clima. Fra le conseguenze delle emissioni climalteranti prodotte dall’essere umano e il surriscaldamento globale che ne deriva, c’è anche questo: l’eccessivo scioglimento dei ghiacci in aree del mondo come l’Antartide.

Proprio lì, nel mare di Bellingshausen, gli scienziati hanno scoperto una terribile conseguenza dello scioglimento avvenuta nel 2022: circa 10.000 piccoli di pinguino, appena nati e che non avevano ancora sviluppato piume impermeabili necessarie per nuotare nell’oceano, sono morti dopo quando si è verificata la rottura del ghiaccio.

La moria di piccoli pulcini di pinguino imperatore è stata perfino registrata dai satelliti, spiegano gli scienziati del British Antarctic Survey (Bas) e di altri istituti che monitorano lo stato di salute dell’Antartide.

Quando a causa delle temperature elevate e delle condizioni meteo il ghiaccio antartico marino si è rotto, i pulcini sono finiti in acqua e probabilmente sono morti annegati o congelati.

Secondo Peter Fretwell del Bas, una tale moria è solo una delle possibili conseguenze legate alla crisi del clima e la perdita del ghiaccio.

Ai tassi attuali, si prevede per esempio come oltre il 90% delle colonie di pinguini imperatori saranno quasi estinte entro la fine del secolo, proprio a causa della carenza del ghiaccio marino fondamentale nel loro ciclo di vita, dalla riproduzione alla crescita sino alla possibilità di procurarsi cibo.

Eppure, ha ricordato Fretwell, c’è ancora speranza perché «possiamo ridurre le nostre emissioni di carbonio che stanno causando il riscaldamento. Ma se non lo facciamo, porteremo questi iconici e meravigliosi uccelli sull’orlo dell’estinzione».

La notizia della morte dei 10.000 uccelli è stata analizzata in un articolo pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment in cui gli esperti raccontano come, grazie alle osservazioni satellitari e altri dati, si è arrivati a comprendere quanto accaduto.

Solitamente, spiegano gli esperti, nel ciclo riproduttivo del pinguino imperatore serve una piattaforma di ghiaccio marino presente almeno per otto mesi affinché la riproduzione e la crescita abbiano successo. Se però come avvenuto i piccoli si trovano senza il tempo per avere le piume necessarie a nuotare e senza più ghiaccio presente, ecco che avviene la tragedia.

In totale si stima che su cinque colonie quattro abbiano registrato un totale fallimento riproduttivo e solo una, presente in un sito più a nord sull’isola Rothschild, è riuscita nella complessa impresa.

Va ricordato infine che purtroppo il ghiaccio marino antartico è in costante calo a partire dal 2016 e le due stagioni peggiori a livello di perdita di volumi di ghiaccio sono state quelle del 2021/22 e 2022/23 soprattutto in aree come il mare di Bellingshausen.

Altro problema è poi il fatto che il ghiaccio fatica a riformarsi: ciò significa che i cicli riproduttivi del futuro, per il pinguino imperatore, sono sempre più a rischio. Se in questa parte del mondo l’impatto sui ghiacci e la vita degli animali da parte del surriscaldamento innescato dall’uomo è ben visibile ma poco si fa per tentare di invertire la rotta e contenere l’avanzata della crisi climatica, altrove risalta invece la volontà dell’uomo di provare davvero a salvare alcuni animali a rischio, come le balenottere di Rice anche se, paradossalmente, questo può portare a cause legali.

Nel Golfo del Messico infatti queste balene e altre specie sono considerate “in pericolo” e per questo motivo l’amministrazione Joe Biden ha deciso di ritirare la vendita di locazione di estrazione petrolifera e gas nel Golfo, proprio per tentare di dare una chance alla balena in via di estinzione: il fatto però, ovviamente, non è piaciuto alle compagnie petrolifere che proprio in questi giorni, per mandare avanti i loro profitti energetici, hanno fatto causa agli Stati Uniti nel tentativo di poter ancora usufruire delle piattaforme del Golfo.

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