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Per le ragazze, il calcio è un gioco, un lavoro e un lavoraccio

Domani si disputerà tra Spagna e Inghilterra la finale del campionato mondiale di calcio femminile a Sydney, in Australia. Ma chi sono davvero le calciatrici?
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19 agosto 2023 Aggiornato alle 09:00

Uno scrittore americano che si chiama Cormac McCarthy ha detto: “Gli uomini sono nati per giocare. Nient’altro. Tutti i bambini sanno che il gioco è più nobile del lavoro”. Quando si parla di calcio e di maschi, sono tutti d’accordo con lui. Ma che ne è delle ragazze?

Domani a mezzogiorno si disputerà l’attesissima finale del campionato mondiale di calcio femminile a Sydney, in Australia. Si affronteranno le agguerrite giocatrici delle nazionali inglese e spagnola, che arrivano entrambe per la prima volta in finale.

Chi vincerà la partita? Quel che è certo, è che essere una calciatrice femmina, vuol dire gioco, sì, ma vuol dire anche lavoraccio.

Innanzitutto perché il calcio femminile non è un lavoro, o meglio, non è un lavoro per tutte. Se i calciatori maschi che vanno ai mondiali sono professionisti - cioè fare il calciatore è il loro unico lavoro - non si può dire altrettanto delle calciatrici. Le giocatrici azzurre sono diventate professioniste solo l’anno scorso, per esempio.

Diventare professioniste vuol dire essere pagate ed essere protette in caso di guai o quando decidono di diventare mamme, per esempio. Ai mondiali che stanno per concludersi, invece, i due terzi delle giocatrici hanno dovuto prendere delle ferie non pagate dal loro lavoro per partecipare. Se alcune giocatrici guadagnano molto bene (anche se molto meno bene che un giocatore maschio), alcune di loro non ricevono un soldo dalla loro squadra da anni.

Se una deve fare - che ne so - l’ingegnera, la contabile o la professoressa, di spazio per pensare al pallone e allenarsi ed essere brava come un maschio che può allenarsi tutto il giorno, ce n’è davvero poco. È per questo che, regolarmente, le calciatrici si arrabbiano. La nazionale canadese, per esempio, ha fatto il muso duro per essere pagata come i maschi ed è riuscita a ottenere dei gran bei risultati.

La pallone d’oro in carica, invece, è una giocatrice norvegese fortissima che si chiama Ada Hegerberg. Nel 2019 ha fatto più goal lei di Cristiano Ronaldo. Bè, Ada Hegerberg ha smesso di giocare finché la federazione norvegese non ha fatto uno sforzo per garantire a lei e alle sue compagne una maggiore equità.

Anche vestirsi, per una sportiva, è un lavoraccio. Tantissime uniformi femminili non sono state pensate per essere comode, ma per essere belline agli occhi dei maschi che, all’inizio, erano i principali spettatori di gare e partite. Per fortuna i tempi cambiano. Anzi no, le ragazze scalpitano e quindi i tempi finiscono per cambiare, a furia di gomitate ai pregiudizi.

Ai bikini striminziti del beach volley si sono aggiunti comodi pantaloncini che non lasciano le chiappe al vento. Alle mutande bianchissime obbligatorie delle partite di tennis a Wimbledon si sono aggiunte mutande scure. Ai pantaloncini bianchi delle calciatrici si sono affiancati pantaloncini colorati per i giorni in cui le giocatrici hanno le mestruazioni. Ché avere paura di macchiarsi è una preoccupazione e le preoccupazioni fanno giocare peggio.

Durante questi mondiali, una giocatrice della nazionale marocchina, Nouhaila Benzina, è stata la prima calciatrice a partecipare a un mondiale indossando l’hijab, il foulard che copre i capelli delle donne musulmane. Sembra poca cosa, ma, nel mondo ingiusto in cui viviamo, un hijab, una mutanda nera o un pantaloncino comodo al posto di una mutandina in miniatura possono fare la differenza e permettere al sogno di una ragazza di realizzarsi, invece di restarsene chiuso in un cassetto. E quando il sogno di una ragazza si realizza, ci sono 10 ragazze la cui fiducia si accende improvvisamente come una miccia.

Da quando è stato organizzato la prima volta nel 1991, il campionato mondiale di calcio femminile non ha fatto che crescere. Dalle 12 squadre iniziali siamo arrivati a 32 Paesi qualificati.

Gli spettatori e le spettatrici aumentano a dismisura e i nomi e le facce delle calciatrici cominciano a imprimersi nelle teste della gente e ad aggiungersi alla galassia fin troppo splendente dei Ronaldo, dei Neymar e dei Mbappé.

Il calcio femminile sembra ancora un gioco, un gioco vero. E forse sembra un gioco vero perché è ancora tutto da fare, da scrivere e da lottare. È una storia ancora da inventare. Chi vincerà domani, non lo sa ancora nessuno: ma la vera partita delle calciatrici va ben oltre il campo - e la giocheranno tutte insieme, e non una contro l’altra.

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