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Congelamento ovuli: casi in aumento dopo la pandemia

In Uk si è registrata una crescita del 62% dal 2019 al 2021; negli Usa, del 39%. Sempre più donne vogliono preservare la propria fertilità per una futura gravidanza: ma quali sono i costi e le possibilità di successo?
Credit: Cliff Booth

Donne che per motivi di lavoro, mancanza di relazioni stabili, scelte personali o di coppia rimandano la scelta di avere figli. Per loro la scienza ha messo a disposizione una tecnica per prolungare nel tempo la propria giovinezza riproduttiva: il congelamento degli ovuli (anche detto social freezing quando viene scelto per motivi non medici), che consente di preservare la fertilità e facilitare future gravidanze attraverso la crioconservazione degli ovociti. La novità è che questa pratica è sempre più diffusa, dagli Stati Uniti all’Europa, e che gli esiti riproduttivi dell’uso di ovociti congelati sono spesso felici.

Come avviene il congelamento degli ovuli?

Il percorso è nato negli anni ‘80 per salvaguardare la fertilità delle pazienti oncologiche ed è stato poi esteso a tutte le donne, dopo la pubblicazione di alcune ricerche relative alla sicurezza della procedura. A chi lo desidera dà la possibilità di congelare i propri gameti a -196° per utilizzarli in una fase successiva della vita, quando la serenità, la stabilità economica, gli affetti o il desiderio di maternità avranno trovato quel giusto equilibrio che dà la forza di intraprendere una gravidanza.

Secondo l’American College of Obstetricians and Gynecologists, la fertilità femminile è al massimo livello tra la fine dell’adolescenza e la fine dei 20 anni. A 30 inizia a diminuire e dopo i 35 il processo subisce un’accelerazione tanto che gli esperti consigliano di procedere al congelamento degli ovuli prima dei 35 anni.

Per fare il primo passo occorre una visita con uno specialista in fertilità per decidere il trattamento da seguire. Al momento del ciclo mestruale comincia la stimolazione ovarica attraverso la somministrazione di ormoni. Si programma poi una serie di ecografie per monitorare l’aumento di dimensione dei follicoli e, una volta che gli ovociti raggiungono il numero e le dimensioni adeguate (in genere la quantità minima è di 10 ovociti maturi), si induce l’ovulazione. Circa 36 ore dopo avviene l’aspirazione degli ovociti tramite un’operazione chirurgica in anestesia che dura intorno ai 15 minuti, dopo la quale si esegue immediatamente il congelamento.

Per la conservazione gli ovociti devono essere custoditi in una biobanca, dove possono restare intatti senza limiti di tempo. Se e quando verrà il momento del loro utilizzo, dovranno essere scongelati e fecondati con spermatozoi con una procedura nota come fecondazione in vitro, per poi procedere al trasferimento dell’embrione nell’utero. Tra gli effetti collaterali che si manifestano durante la procedura, alcune donne possono avere sintomi come stanchezza, gonfiore, mal di testa o sbalzi d’umore, anche nelle 2 settimane successive al prelievo.

Per la fecondazione non vi sono limiti d’età. Ma «le società di medicina della riproduzione, in Europa e negli Stati Uniti, si sono accordate sul limite dei 50 anni. Oggi si tende a valutare la gravidanza anche in donne che hanno 51 anni, senza alcuna patologia, previo consenso del medico curante che ne certifichi lo stato di salute», ha chiarito Daniela Galliano, responsabile del Centro Pma della clinica Ivi di Roma.

Perché il congelamento degli ovuli è in aumento?

Il ricorso a questa tecnica nella popolazione femminile globale sta subendo una crescita esponenziale, innescata soprattutto nel periodo della pandemia da Covid-19. I dati ci dicono che negli Stati Uniti le procedure di egg freezing tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 sono aumentate del 39% rispetto ai livelli pre-pandemici. Questa tendenza in aumento potrebbe significare che le donne hanno modificato le proprie scelte per “una rivalutazione degli obiettivi di vita, cambiamenti nella situazione finanziaria e/o una diversa flessibilità lavorativa”, si legge nello studio pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility.

L’ultimo rapporto realizzato nel Regno Unito dalla Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) parla di un “aumento sorprendente” con numeri record: i cicli di congelamento degli ovuli sono passati da 2.576 nel 2019 a 4.215 nel 2021. Una crescita del 62% che potrebbe essere, anche qui, una diretta conseguenza della pandemia: secondo Sarah Norcross, direttrice dell’ente benefico Progress Educational Trust, infatti, nei mesi di lockdown le «restrizioni delle possibilità di socializzazione possono aver spinto alcune donne a riflettere maggiormente sulla propria fertilità e a decidere di cercare di aumentare le proprie possibilità riproduttive».

Benché non raggiungano queste cifre, i numeri stanno salendo anche in Italia: alla conferenza stampa del Fertility Day di settembre 2021 è emerso che le richieste di social freezing rivolte ai centri GeneraLife sono raddoppiate nella primavera del 2021 rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel nostro Paese la procedura di congelamento degli ovuli è inserita all’interno del percorso pubblico soltanto se vi è una necessità medica (il classico caso è la chemioterapia). In tutti gli altri casi le donne devono rivolgersi a cliniche private specializzate, il cui costo va dai 2.000 ai 4.000 euro a ciclo.

I costi e il turismo collegato

I costi della crioconservazione degli ovociti rappresentano una delle principali barriere per chi desidera accedervi. Negli Stati Uniti l’intera procedura (incluse le visite mediche e la conservazione degli ovuli nelle biobanche) arriva a costare in media 18.000 dollari e la maggior parte delle donne non può contare su una polizza assicurativa che copra queste spese. Secondo quanto riporta il New York Times, meno del 20% delle società americane con più di 20.000 dipendenti offriva nel 2020 un piano assicurativo con copertura dell’egg freezing.

Per ovviare al problema, molte donne provenienti da tutto il mondo partecipano a veri e propri viaggi organizzati (da sole o con l’aiuto di società che lavorano in questo campo, come la californiana Milvia) verso destinazioni più economiche per congelare i propri ovuli. È il “turismo della fertilità” in cui la voglia di viaggiare si mescola al desiderio di aumentare le proprie chance di avere un figlio.

Tra le mete preferite ci sono il Messico e la Spagna dove le cliniche hanno tariffe molto più contenute. Secondo il sito di Freeze Health, che mette a confronto i costi che le donne devono affrontare in diversi Paesi, in Spagna un singolo ciclo per il congelamento costa intorno ai 4.500 euro e la conservazione va dai 240 ai 500 euro l’anno. Cifre simili si trovano anche in Repubblica Ceca, una delle mete europee preferite per questo tipo di trattamento, mentre nel Regno Unito il costo complessivo è in media di 7.000 euro.

Casi di successo e sensibilizzazione

Il congelamento degli ovociti non garantisce che si avrà un bambino, ma aumenta notevolmente le possibilità di averlo in futuro. Non riuscire ad avere una gravidanza con la fecondazione in vitro rientra nella normalità e con l’aumentare dell’età della madre aumentano anche i rischi ostetrici.

Tuttavia, i risultati dell’ultima ricerca presentata dalla European Society of Human Reproduction and Embryology lasciano ben sperare: più del 40% delle donne che hanno scelto di congelare i propri ovociti sono riuscite più avanti ad avere un bambino, quando sono tornate nel centro per la fertilità al quale si erano rivolte per il social freezing. Al momento del prelievo per il congelamento, l’età media delle donne era di 36 anni e la maggioranza non aveva un partner. Tra le donne che sono tornate al centro specialistico per scongelare gli ovuli (circa il 27%), a quel punto l’età media era di 40 anni e la maggior parte era in una relazione stabile.

Il dato del 27% delle pazienti che sceglie di tornare alla clinica per la fertilità per utilizzare gli ovuli scongelati è sicuramente un dato positivo che, come spiega Laura Rienzi, direttrice scientifica del gruppo Genera, «è in crescita rispetto alle ultime evidenze, che parlavano del 9-15%». Ciò dimostra come la cultura della prevenzione dell’infertilità abbia attecchito e determinato le scelte familiari di moltissime donne.

Il prossimo passo, secondo Rienzi, è che questi temi entrino anche «nelle scuole, sensibilizzando i ragazzi non solo sulla contraccezione, ma anche sulla difesa del loro potenziale riproduttivo». Per far sì che ci sia consapevolezza riguardo le proprie possibilità, presenti e future, di riproduzione in tutte le fasi della vita, da quando si è più giovani fino alla nascita dei figli e oltre.

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