Ambiente

Riso: la crisi climatica costringe a ripensare le coltivazioni

Per adattarsi agli effetti del climate change sulle colture, gli agricoltori stanno sperimentando nuovi calendari di semina, varietà più resistenti e tecniche per ridurre il loro impatto ambientale
Credit: Simon Fanger v
Tempo di lettura 4 min lettura
24 maggio 2023 Aggiornato alle 21:00

La crisi climatica mette in ginocchio le coltivazioni di riso, tra cambi repentini di temperatura, siccità, alluvioni e la salinizzazione delle falde idriche. Gli agricoltori, soprattutto nei Paesi asiatici, stanno sperimentando nuovi calendari di semina, varietà più resistenti e tecniche per ridurre il suo impatto ambientale. In questo modo, sperano di salvare uno dei cereali più consumati al mondo.

In Cina, secondo uno studio, le piogge estreme hanno ridotto in modo consistente la resa del riso negli ultimi vent’anni. A sperimentare l’impatto più grande della crisi climatica sono soprattutto i piccoli agricoltori. Dall’India al Pakistan, fino alla California, i dati sui raccolti degli ultimi anni sono preoccupanti. La situazione quest’anno, dicono le previsioni, potrebbe peggiorare, a causa delle condizioni climatiche estreme.

Il caso del Vietnam è emblematico: anni di produzione intensiva e una gestione non lungimirante dell’acqua hanno prosciugato il fiume Mekong. Ora lo Stato, che in passato riforniva milioni di persone dentro e fuori dai suoi confini, si sta preparando a tagliare 250.000 acri di piante di riso vicino al Delta.

Nel 1975, per arginare la carestia dovuta alla guerra appena conclusa, il governo vietnamita ha deciso di incrementare le coltivazioni di riso. Il Paese, in pochi anni, non solo ha coperto il fabbisogno interno, ma è diventato anche il terzo esportatore al mondo, dopo India e Thailandia.

La costruzione di dighe e canali d’irrigazione però ha rimodellato il Mekong, che nasce nella Cina Sudorientale e arriva in Vietnam, quasi a secco, dopo aver attraversato Myanmar, Laos, Thailandia e Cambogia.

Per le risaie sul delta, notoriamente idroesigenti, ci sono quindi meno risorse e spesso non sono utilizzabili, perché le acque marine, a causa del basso livello del fiume, si infiltrano nell’entroterra (fino a 70 chilometri). Questo problema, con l’innalzamento degli oceani, è destinato a peggiorare.

A causa del surriscaldamento globale, la stagione dei Monsoni non offre sollievo, a maggio. Il suo inizio infatti è diventato variabile.

L’uso di semi ibridi ad alto rendimento e di fertilizzanti chimici inoltre hanno ridotto la diversità dei prodotti e hanno inquinato le falde acquifere, già ridotte ai minimi termini. Molti risicoltori, per sopravvivere, sono passati all’allevamento di gamberi, un’attività che degrada ulteriormente il terreno.

Nelle zone costiere del Vietnam però alcuni imprenditori agricoli stanno cercando di ingegnarsi, sfruttando questi fenomeni: coltivano, a rotazione, il riso e i gamberi, sfruttando l’acqua dolce e quella salata. In giro per il mondo, questo non è l’unico esperimento per salvare il riso.

Per esempio, Argelia Lorence, biochimica vegetale presso l’Arkansas State University, sta studiando diverse varietà di semi, per capire quali sono le più adatte a sopravvivere alle temperature, alte anche di notte, imposte dai cambiamenti climatici. Fino a ora, grazie a una ricerca sostenuta dalla multinazionale americana RiceTec, ha individuato due geni resistenti, che possono essere utilizzati per creare delle varietà ibride. Non mancano le critiche per la sua ricerca, soprattutto tra gli esperti che sostengono la protezione delle specie autoctone.

In Bangladesh, gli scienziati hanno già dato vita, con l’editing genetico, a delle nuove tipologie di seme: alcune riescono a crescere, anche se vengono sommerse dalle acque di un’alluvione per più giorni. Altre prosperano in terreni salati.

In futuro, grazie a questa tecnica, si potrà limitare anche l’impatto che la coltivazione di riso ha sul clima. Le elevate concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera impoveriscono i nutrienti di ogni chicco. Di contro, il cereale, soprattutto se in colture intensive, è responsabile dell’8% delle emissioni globali di metano. La sua quota è inferiore a quella di carbone, petrolio e gas (35%), ma questo alimento è alla base della dieta di circa tre miliardi di persone.

Uno studio negli Stati Uniti suggerisce che, innaffiando con meno continuità le risaie, si può ridurre del 60% la produzione di gas serra. Alcuni agricoltori ci stanno provando. Altri invece stanno utilizzando il metodo cinese di piantare il riso in filari, come il mais, lasciando scorrere l’acqua nei solchi posizionati tra essi. L’amministrazione di Joe Biden sta cercando di premiare questi tentativi con fondi federali, in modo da incentivare un futuro dove, nonostante la scarsità d’acqua e l’aumento delle temperature, non dovremo rinunciare a uno degli alimenti più consumati al mondo.

Leggi anche
Il 30 giugno 2022 ambientalisti di tutte le età si sono riuniti per protestare contro la decisione della Corte Suprema di limitare le capacità dell’Epa di regolare le emissioni per le centrali elettriche operative
Inquinamento
di Fabrizio Papitto 3 min lettura