Diritti

L’inumana legge salvadoregna che punisce l’aborto

Grazie all’impegno degli attivisti e della Corte interamericana dei diritti umani, una donna condannata a 10 anni per aver interrotto la gravidanza è stata rilasciata
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
11 febbraio 2022 Aggiornato alle 11:00

Ecco un’altra storia, l’ennesima di una donna salvata, grazie alla mobilitazione degli attivisti, dopo 10 anni trascorsi nelle carceri di El Salvador, con l’unica colpa di aver avuto un aborto. Spontaneo o meno non importa, perché nello Stato più piccolo del Centro America non solo l’interruzione volontaria della gravidanza è un crimine, in alcuni casi equiparato persino all’omicidio aggravato, ma addirittura la morte del feto per complicazioni ostetriche o incidenti di qualsiasi tipo può essere vista con sospetto e per questo punita.

Quella di Elsy – gli attivisti non vogliono riferire il nome completo della donna - è una storia fin troppo simile a quella di molte altre. El Salvador, infatti, è uno dei 3 Paesi del Centro America e uno dei 24 nel mondo in cui vige il divieto assoluto di aborto, persino in caso di incesto e stupro. Un divieto cieco e insensato che sfocia ovviamente in storture e ingiustizie di ogni tipo.

Nel giugno 2011 Elsy, madre single di 28 anni che all’epoca lavorava come collaboratrice domestica, aveva avuto, almeno apparentemente, un aborto spontaneo. Pur avendo cercato aiuto, invece di ricevere assistenza medica, era stata denunciata per il sospetto di un’interruzione volontaria.

Negli ultimi 25 anni, sono state centinaia le donne salvadoregne accusate di aborto o di omicidio aggravato. In base al Codice Penale adottato nel 1997, il reato di aborto prevede una reclusione da 2 a 8 anni, mentre nel caso di un omicidio aggravato da 30 a 50 anni.

Anche il personale medico coinvolto nell’aborto chirurgico rischia dai 6 ai 12 anni di carcere, oltre ovviamente alla radiazione dall’ordine professionale. Non solo, addirittura i familiari che mostrano il loro sostegno alla donna decisa a non tenere il bambino possono essere puniti con una reclusione da 2 ai 5 anni.

Dopo un processo viziato da molte irregolarità, Elsy era stata condannata per omicidio aggravato a 30 anni di carcere. a oggi è la quinta donna rilasciata prima della conclusione della pena. Mercoledì ha potuto riabbracciare i suoi cari a Yayantique, nella parte orientale di El Salvador.

“Siamo felici che Elsy sia stata finalmente liberata dopo un’ingiusta prigionia durata oltre un decennio” ha affermato Morena Herrera, direttrice del Citizen Group for the Depenalization of Abortion. “La sentenza è stata commutata e i suoi diritti ripristinati”.

Tra il 2000 e il 2017, i Paesi dell’America Latina che vietano in qualsiasi circostanza l’aborto hanno registrato un picco di 151 casi di mortalità materna ogni 100.000 nati vivi rispetto ai circa 68 casi di mortalità ogni 100.000 nati vivi in altre nazioni in cui l’interruzione di gravidanza è una pratica legale.

Nel marzo del 2021, la Corte interamericana dei diritti umani, un tribunale regionale dell’Organizzazione degli Stati Americani istituito per pronunciarsi sulle presunte violazioni dei diritti umani nei Paesi membri, ha esaminato le argomentazioni del caso “famiglia di Manuela contro El Salvador”. Anche qui una donna – all’epoca dei fatti 33enne e già madre di due bambini – che, a seguito di una caduta in casa, aveva partorito un feto morto.

Manuela - nome di fantasia utilizzato dalle testate giornalistiche per proteggere l’identità della famiglia - era stata trasportata d’urgenza in ospedale e il personale sanitario l’aveva denunciata alle autorità. La donna, ammanettata sul letto d’ospedale e interrogata dalla polizia, aveva dovuto rispondere dell’accusa di omicidio aggravato. Anche a lei era stata comminata una pena di 30 anni, ed è morta nel 2010 ancora in carcere.

La Corte interamericana ha riconosciuto lo scorso dicembre la responsabilità dello Stato salvadoregno per le gravi violazioni dei diritti umani di cui è stata vittima Manuela, condannandolo a risarcire integralmente la famiglia e a introdurre delle modifiche legislative. Si tratta di un precedente importante, in grado di aprire uno spiraglio per le generazioni future e per le donne che stanno ancora scontano una pena crudele in carcere.

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