Economia

SOS sistema sanitario nazionale (non solo italiano)

Con la pandemia, è emersa tutta la sua debolezza, e ora ne subiamo gli effetti. Aumentano pazienti, tempi di attesa, e cala la produttività del personale ospedaliero
Credit: Anna Shvets
Tempo di lettura 4 min lettura
5 maggio 2023 Aggiornato alle 07:00

Sembra, ormai, essere passato il peggio del Covid-19, ma gli effetti rimangono ancora ben visibili: a risentirne maggiormente sono i sistemi sanitari nazionali di tutto il mondo, fortemente colpiti dalla pandemia, la quale ha mostrato tutta la loro debolezza.

Con il tempo, gli ospedali cominciano a riprendersi dal duro colpo della pandemia, ma la strada da percorrere è ancora molto lunga.

Il settore sanitario, tra i Paesi ricchi, che forse sta risentendo maggiormente del duro colpo della pandemia è quello britannico. In Gran Bretagna, la situazione è particolarmente complessa: aumenta il tempo di arrivo dell’ambulanza e aumenta anche il tempo tra la decisione di ricovero e l’effettivo arrivo in reparto. In questi ultimi tempi sono state tante le polemiche e gli scioperi proprio per protestare contro il sistema sanitario nazionale, che alcuni giornali definiscono, ormai, “al collasso”.

L’Italia è stato uno dei Paesi più colpiti: come dimenticare il sovraffollamento degli ospedali nelle prime settimane di pandemia, in particolare nella regione Lombardia. Ma anche ora, superata la pandemia, sono in aumento le liste d’attesa per le visite e la priorità assoluta è riportare le tempistiche ai livelli pre-covid.

In Francia, per esempio, il problema principale riguarda la distribuzione territoriale dei presìdi ospedalieri: in alcune zone, avere un accesso adeguato ai servizi medici è molto difficile, nonostante la Francia sia uno dei Paesi che spende di più nella sanità. «Di fatto, l’87% della Francia potrebbe essere definito un deserto medico», emblematiche queste parole della ministra dell’Organizzazione territoriale e delle Professioni sanitarie, Agnès Firmin-Le Bodo. A tutto ciò si aggiunge anche il problema del reclutamento, dal momento che la maggior parte dei medici di base ha più di 60 anni.

In Spagna, il problema principale riguarda le retribuzioni dei medici, troppo basse; ma non solo: anche qui è presente un forte divario territoriale. Questo ha portato a diverse ondate di scioperi e proteste nell’intera Nazione.

Anche la Svizzera, uno dei Paesi più ricchi, è in difficoltà: in diminuzione i posti letto gratuiti in terapia intensiva. Problemi anche per la Germania, il Paese europeo che spende di più per la sanità: sono circa 23.000 i medici e gli infermieri che mancano negli ospedali.

Chi sta gestendo al meglio la situazione sono gli Stati Uniti, per l’ingente spesa in ambito sanitario, ma anche lì le cose non vanno bene: il tasso medio di occupazione degli ospedali ha superato l’80% per la prima volta.

Ma che cosa sta succedendo? Sono diversi i fattori che hanno contribuito a tutto ciò, primo fra tutti la spesa destinata al servizio sanitario che, nella maggior parte dei Paesi, è ancora troppo bassa. Secondo i dati dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la spesa per la prevenzione nel 2019 era pari al 2,7% della spesa sanitaria totale dei Paesi Ocse.

A tutto ciò si aggiunge il problema del personale. In alcuni Paesi è necessario reclutare medici o infermieri, mentre in altri il vero problema è la loro efficienza: il Covid ha messo a dura prova la loro resistenza, la maggior parte del personale si sente infelice ed esausta e questo si ripercuote, senza dubbio, sulle prestazioni sanitarie.

Ma non solo: il Covid ha fermato le visite annuali, ritardando le diagnosi e, di conseguenza, aumentando il numero di pazienti. Inoltre, secondo il rapporto dell’Ocse Ready for the Next Crisis? Investing in Health System Resilience, la situazione potrebbe peggiorare a causa dell’invecchiamento demografico verso cui ci stiamo dirigendo.

La prima cosa che bisogna fare, secondo l’Ocse, è puntare sugli investimenti. La spesa destinata alle prestazioni e agli investimenti sanitari è ancora troppo bassa, è necessario un investimento annuo dell’1,4% del Pil dei Paesi Ocse, almeno, rispetto a quanto si spendeva nel periodo pre-Covid. La metà deve essere destinata al personale, la parte restante, invece, dovrà essere impiegata per la prevenzione.

Questo è fondamentale anche da un punto di vista economico: oltre all’aumento dei posti di lavoro, un sistema sanitario rafforzato ha un impatto positivo sul capitale umano, aumentandone la produttività presente e futura.

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